Entrare nell’ex-centro sociale riadattato a cinema d’essai e a laboratorio teatrale quindi, dopo anni di abbandono a se stesso, acquistato dal nostro amico Godhard come sala-proiezioni privata.
Superare la hall col tavolino dei rinfreschi, solitamente ornata di vassoi con tartine e della bolla gigante del punch, quindi infilare il corridoio moquettato con alle pareti mezzo secolo di cinema d’autore, da Otto e mezzo di Fellini fino ai più sordidi b-movie, e penetrare nella minuscola sala a conchiglia dove, sotto una luce spiovente stile Madison Square Garden, il nostro conoscente siede aspettandoci.
“Ciao Godhard.”
“Ciao poeta.”
“Quella cosa su cui sei seduto è ciò che penso’”
“È una Plymouth Fury del ’57, rosso fiammante con bande laterali bianche e sedili in pelle. Ovviamente riadattata a tavolino da steak house.”
“Come su “Pulp Fiction”. Vedo che ti sei preparato.”
“Non è solo un omaggio al cinema di Tarantino e tu dovresti saperlo.”
Fissare Godhard, brizzolato cinquantenne che ha investito gli ingenti proventi della sua carriera da pornostar in una catena di ristoranti che ora gli permettono di non lavorare più e di potersi dedicare alla passione di sempre: il cinema. Persino il suo nome d’arte è un tributo al grande cineasta francese Jean Luc Godard, in chiave hard-core: Godhard.
“Stiamo parlando di “Christine, la macchina infernale” di Stephen King?”
“Si. E dell’omonimo film di Carpenter. Ora accomodati e spiegami una cosa. Ma tu non l’odiavi Tarantino?”
“Si. Ma è troppo facile scrivere di ciò che si ama. E poi ho visto tutti i suoi film.”
“Mmmh. Comunque ho preparato un menu ispirato al buon Quentin e devo ammettere che il cibo ha una funzione epifanica nelle sue pellicole.”
“Epifanica?”
“In qualche modo le pietanze introducono la violenza che è la cifra e il denominatore comune di tutta la sua filmografia. Prendiamo ad esempio questi due bei bicchieroni di latte, cosa ti ricordano?”
“L’intro di “Bastardi senza gloria?”
“Esattamente. Abbiamo questo terribile colonnello nazista, Hans Landa, che sta rastrellando le campagne francesi in cerca di ebrei fuggitivi e si fa servire del latte fresco dalla figlia del fattore che poi interrogherà. La cosa che subito colpisce è il tono pacioso e informale che stona con l’alta uniforme e il gravoso compito assegnatogli. Beviamo”.
Ingurgitare il latte che nel frattempo ha appannato il vetro gelandoci piacevolmente i denti.
“Complimenti alla sua famiglia e alle sue vacche!”, prorompe teatrale Christoph Waltz dopo aver vuotato il bicchiere e da lì inizia una delle più belle scene del cinema contemporaneo ed una delle migliori girate da Tarantino, a detta dello stesso regista. Ma la vera domanda è perché?”
“Per la palpabile tensione fra i due protagonisti?”
“Anche. Ma da cosa è generata questa tensione?”
“Forse dall’immobilità del colonnello e del contadino che dialogano seduti a un tavolo? O forse dal fatto che lo spettatore conosce Tarantino e sa che prima o poi succederà qualcosa di tremendo?”
“Forse, ma questo è un discorso metacinematografico e non c’interessa. Il grande cinema vive o dovrebbe vivere d’istanti, al di fuori della memoria di sé. E poi penso che questa scena funzionerebbe anche se a guardarla fosse uno spettatore vergine di Tarantino. Il segreto è nei dettagli, caro il mio poeta.”
“Là dove si annida il diavolo…”
“Esatto. E cosa c’è di più diabolico d’un carnefice nazista che carica d’inchiostro la propria penna preparando la carta per redigere una confessione che può costare la vita a svariate persone con lo stesso petulante zelo d’un impiegato del catasto? Eppure Quentin ce lo mostra, il dettaglio della penna, così come ci mostra il “totentanz” sul berretto del colonnello o le pipe che i due caricano di tabacco, l’una ruralmente intagliata nel legno, l’altra tipicamente austriaca e questi particolari, insieme al dialogo tarantiniano, creano un doppio piano fra la realtà ordinaria, perfettamente descritta nei suoi aspetti più banali, e la straordinarietà di quanto sta per accadere.”
“E tutto questo inizia con un bicchiere di latte.”
“Certo. E la scelta non è casuale. Il latte è un alimento primario e richiama ingenuità e purezza ma è anche un simbolo del microcosmo agreste in cui il colonnello è appena entrato. Bevendolo egli anticipa il gesto predatorio che sta per compiere ma al tempo stesso, come tutti i torturatori che si rispettano, mette a suo agio l’interrogato complimentandosi per il suo lavoro di fattore. Abbassandone di fatto le difese.”
“Perché uno come te ha fatto l’attore porno Godhard?”
“Perché, cinematograficamente parlando, ho preferito la finzione alla rappresentazione. E poi perché lo trovavo meno volgare d’un posto in banca.”
“Cosa c’è lì?”
“Due ciotole. Una di riso in bianco, l’altra di riso saltato con piselli.”
“Stiamo entrando nell’immaginario di Kill Bill, vero?”
“Il riso saltato con piselli è in realtà su “Jackie Brown”. Ma quello in bianco sai a quale scena fa riferimento vero?”
“All’estenuante allenamento di Uma col vecchio Pai Mei. Quando non riesce a tenere le bacchette per il tremore alle dita e alla fine mangia con le mani. Così il maestro urla…”
“…SE VUOI MANGIARE COME UN CANE PUOI VIVERE E DORMIRE COME UN CANE. SE VUOI VIVERE E DORMIRE DA ESSERE UMANO PRENDI LE BACCHETTE!!”
Sorridere all’imitazione di Godhard e sollevare le bacchette come un corpo estraneo.
“Sai che le odio vero?”
“Si. Per questo non ci sono forchette sul tavolo”.
“Un altro esempio di vita che imita l’arte.”
“Anche in questo caso il cibo diviene un apprendistato alla violenza poiché le dita servono alla protagonista sia per sferrare il letale pungo da 10 centimetri che per quello che può fare esplodere il cuore e quando, aiutandosi con due mani, riesce ad usare le bacchette il maestro, compiaciuto, le donerà il suo pasto.”
“Senza dimenticare che quelle stesse dita le salveranno la vita nei capitoli successivi.”
“Già. Un altro esempio (sempre in Kill Bill) di cibo che anticipa una violenza, è quello d’un serafico David Carradine che prepara un sandwich con sottilette, salame, maionese e pomodori e lo fa ben sapendo che Beatrix è lì per ucciderlo al punto che persino il coltellaccio sproporzionato che usa per tagliare il pane ce lo lascia presagire. Eppure i due parlano tranquillamente e Bill dispone l’affettato sul pane con studiata lentezza.”
“Questa cosa mi ricorda quei gialli in cui l’investigatore rivela l’assassino nelle ultime pagine e spiega, spesso proprio al colpevole, come ha fatto a scoprirlo, e questi, invece di fuggire o tentare di colpirlo lo ascolta catechizzato come un cobra dal suono d’un flauto.”
“Vuoi un po’ di caffè?”
“Si, grazie.”
“Come lo prendi?”
“Lotsacream, lotsasugar. Come Mr Wolf che risolve problemi. Il caffè è una costante nel cinema. Non solo di Tarantino.”
“Ricordi il discorso sul caffè di Mr Pink (Steve Bushemi)?”
“Non alla lettera. Adesso stiamo parlando de “Le Iene” vero?”
“Si. Dice Mr Pink: “ la cameriera dovrà riempire la tazza del caffè sei o sette volte. Io non lascio una mancia perché la società ha deciso di farlo. La lascerò solo a qualcuno che se lo sarà meritato.”
“Godhard ma in fin dei conti cosa significa Pulp?”
“Io posso darti la mia definizione di Pulp”.
“Spara.”
“È “pulp” tutto ciò che esaspera i toni della narrazione descrivendo vicende estreme o grottesche con uno stile ridondante e inverosimile.”
“E il pulp di Tarantino?”
“Lo stesso cui sopra ma shakerato a elementi della cultura popolare che fuori dal loro abituale contesto non fanno che accentuare l’effetto straniante.”
“È un pop saltato in padella con frattaglie e paprika dolce.”
“Si ma non bisogna mai dimenticare il sangue. Un pulp senza sangue è come…”
“…un porno per non-vedenti.”
(continua…)