Il giorno della visita il cielo è zeppo di nuvole, ma lo spettacolo regalato da Madre Natura è comunque meraviglioso. Durante i giorni luminosi di sole l’incanto raggiunge l’apoteosi. Il posto è incastonato tra le colline al numero 10 della frazione Bricco, nel Comune di Bastia Mondovì. Con il navigatore satellitare è anche facile arrivarci. In ogni caso si imbocca la strada provinciale 126 che porta alla chiesa di San Fiorenzo del XIII secolo e percorsi alcuni chilometri si giunge a destinazione. L’azienda agricola Bricco del Cucù è nell’ultimo cortile della borgata.
Produce soprattutto vino di eccellenza (tre Dolcetti, un paio di assemblaggi con il Merlot e un bianco Arneis-Sauvignon), ma anche nocciole e una piccola quantità di frutta trasformata in marmellate. A cui si aggiungono le verdure dell’orto.
La titolare, dal 2016, è Irene Sciolla, 26 anni, diplomata al Liceo Psico-pedagogico. Sono coadiuvanti il papà Dario, 61 anni, e la sorella Erica, nata nel 1989. Li aiuta, nel tempo libero, la mamma Caterina, anche lei di 61 anni, maestra di professione. Inoltre, da febbraio a novembre, sono impegnati in azienda, quattro dipendenti stagionali che, nel periodo della vendemmia, diventano una decina. Tutti specializzati. Una terza sorella, Chiara, classe 1988, lavora a Milano.
Perché Bricco del Cucù? Risponde Irene: “Abbiamo voluto unire il nome della frazione con quello della vigna più importante dell’azienda: la Cucù. Quest’ultimo è il verso del cuculo: l’uccello migratore che in primavera nidifica da secoli - primo della zona - sulle tre querce presenti a margine di quell’appezzamento di terreno. Oltre a essere di buon auspicio per la vendemmia, secondo la tradizione trasmessaci dai nonni, quel posarsi prima o dopo il 10 aprile delinea anche l’andamento dell’annata produttiva dell’uva. Se lo fa prima la stagione sarà anticipata, altrimenti è probabile un posticipo”.
Perché ha fatto la scelta del mestiere agricolo? “Sono sempre stata un po' il "maschiaccio" della famiglia. A dieci anni salivo già sul trattore. Poi aiutavo nei campi. Quando sono diventata più grande ho iniziato a patire il posto, perché a Bricco non c’era e non c’è nulla da fare. Concluso l’esame di maturità, nel 2012 stavo aspettando di iniziare il percorso universitario perché per la mamma occorreva studiare. Ma a settembre ho anche partecipato alla mia prima “vera” vendemmia. E sono rimasta definitivamente attratta dalla passione per questo mestiere. Così ho deciso di abbandonare la scuola e di fermarmi in cascina. Ho aiutato papà per tre anni e, poi, lui mi ha lasciato in mano l’azienda”.
Non tornerebbe indietro? “I sacrifici sono tanti e non sempre vengono apprezzati. Ma quando vedi la vigna ben curata e hai la consapevolezza di averne seguito ogni passaggio c’è anche tanta soddisfazione. Per cui, a questo punto, avendo investito molte risorse nell’azienda, direi proprio di no”.
DALLA CANTINA DEL 1600 AI GIORNI NOSTRI
L’attività della famiglia Sciolla ha secoli di storia: la cantina, infatti, risale al 1600. Il fabbricato attuale è frutto di numerose ricostruzioni. Irene racconta la storia dell’azienda partendo dal ricordo dei nonni Beppe e Gina. “La loro - dice - era un’agricoltura di sussistenza, perché, innanzitutto, bisognava sopravvivere. Allevavano alcuni bovini e coltivavano tre ettari di terreno: buona parte a vigneto e, poi, qualche varietà di ortofrutta. Vendevano l’uva fresca perché, alcuni decenni fa, la tradizione era quella di farsi il vino in casa. Mi dicevano che i polli non potevano mangiarli, ma dovevano portarli al mercato per racimolare qualche soldo. E per sfamarsi, a volte, appendevano le sardine al soffitto sulle quali passavano sopra le fette di pane per insaporirlo un poco. Pare che siano passati centinaia di anni, invece è trascorso davvero poco tempo”.
Dario, il papà di Irene, si diploma all’Istituto Tecnico Industriale, poi aiuta i genitori in vigna, ma loro non vogliono che si fermi nell’azienda. Afferma: “Eravamo nel 1977. Tutti scappavano dal mondo agricolo in quanto era un momento di grande difficoltà. Così ho fatto anche io. Poi nel 1986 c’è stato lo scandalo del vino al metanolo, che ha complicato ulteriormente la situazione. Ma ha rappresentato il momento del riscatto per chi, occupandosi dei vigneti, ha imboccato la strada della qualità. Ho sempre avuto la passione per questo mestiere e sono riuscito a convincere mio padre a ripartire con una minore produzione, però garantita sotto ogni aspetto”.
Nel 1990 Dario diventa titolare dell’azienda e ne cambia l’impostazione, dedicandosi solo alla vigna. E non vende più l’uva fresca, ma cura la vinificazione e, dopo, imbottiglia quanto prodotto. Puntando tutto sull’eccellenza. Compra altri appezzamenti scegliendo sempre solo quelli dove i filari sono migliori. “Perché - sottolinea - le cose bisogna farle bene, dedicando ogni energia per raggiungere l’obiettivo”.
Nel 2016 cede l’attività a Irene. Adesso l’azienda coltiva otto ettari di vigneto in una decina di appezzamenti, tutti nel Comune di Bastia e costituiti, principalmente, dal vitigno del Dolcetto, e in misura minore da quelli del Merlot, dell’Arneis e del Sauvignon. Poi si occupa di sei ettari di nocciole e di una piccola porzione di terreno riservata alle piante da frutta e all’orto.
Inoltre, la famiglia Sciolla negli anni recenti effettua un importante intervento di ristrutturazione della cascina: il vecchio portico, infatti, diventa il locale per le degustazioni e la vecchia stalla la struttura per l’imbottigliamento.
Chiediamo a Dario se è soddisfatto della scelta della figlia. “All’inizio - risponde - era molto perplesso. Ogni cambiamento provoca sempre un poco di ansia. Ora, però, le cose vanno meglio e sono contento”.
“IL VALORE DEL DOLCETTO VA RECUPERATO”
Il Dolcetto è sempre stato considerato un “vinello”, da bere nel corso dell’anno. Dario, prima, e Irene, dopo, su questo aspetto stanno cercando di cambiare la mentalità del consumatore.
Irene: “Il terreno di questa zona è friabile, calcareo e non profondo: mezzo metro e sotto c’è il tufo. Di conseguenza, il vino ha tanto colore e struttura e, quindi, molta longevità. Abbiamo tra le etichette in vendita un Superiore del 2013. Ma questo non viene ancora compreso da tutti. Negli ultimi anni, il Dolcetto è stato messo da parte e non sta vivendo il periodo migliore. La Langa ha puntato solo sul Nebbiolo. Però se lo bevi cambi idea. Per questo motivo abbiamo iniziato a proporre le degustazioni e i pranzi con i cibi, anch’essi selezionati e di qualità. Come le nostre marmellate e verdure o gli assaggi di carne, i salami e i formaggi acquistati da aziende del territorio. Senza voler fare i ristoratori, perché chi viene a trovarci deve essere interessato al vino. Attraverso gli abbinamenti riusciamo a consigliare come berlo ottenendo le migliori emozioni per il palato. E nelle cene a tema proponiamo delle mini verticali con un Dolcetto del 2006: quindi non abbiamo nulla da invidiare ad altre zone delle Langhe più rinomate”.
Ma c’è anche il problema del territorio? “Carrù è considerata la porta delle Langhe e noi siamo a una decina di minuti di auto. Tuttavia, come zona, siamo sempre stati tagliati un poco fuori. Invece, l’area è da scoprire dal punto di vista paesaggistico perché non è monocoltura , ma ci sono prati, campi in coltivazione, nocciole, vigneti. I colori sono splendidi. Questa è la vera Langa rustica. Per fortuna, però, insistendo con la promozione i turisti, lentamente, stanno arrivando anche da noi”.
Per prenotare la passeggiata nelle vigne, la visita alla cantina e la degustazione all’azienda Bricco del Cucù occorre telefonare a Irene (331 7725290) oppure scrivere all’indirizzo mail info@briccocucu.com o ancora collegarsi al sito www.briccocucu.com
UNA PRODUZIONE SICURA E DI GRANDE QUALITA’
Bricco del Cucù produce sei etichette: cinque rossi e un bianco. Tre sono Dolcetti “puri”: il Langhe Doc “L’impronta”, dedicato a nonno Beppe, di medio corpo, fruttato, di pronta beva, con bouquet ricco e delicato, adatto al pasto quotidiano (adesso si beve l’annata 2018); il Dogliani Docg, prodotto finale delle uve migliori (2018): il Dogliani Docg Superiore San Bernardo di struttura forte, invecchiato in botti di rovere piemontese, ideale per l’accostamento a piatti importanti (annata 2013).
Poi ci sono tre assemblaggi voluti per mettere insieme la tradizione e il rinnovamento e con le etichette che riportano altrettanti affreschi della vicina chiesa di San Fiorenzo. Uno è il Langhe Doc bianco Livor che unisce Arneis e Sauvignon (ora è in commercio il 2018); gli altri due sono rossi: il Langhe Doc Superboum (annata 2012) e il Langhe Doc Diavolisanti (sempre 2012) che mettono insieme Dolcetto e Merlot. Attraverso l’accorpamento, nei tre casi, ne escono vini più morbidi, ma intensi, accattivanti, fruttati e freschi.
Irene: “Da quanto papà ha iniziato a gestire l’azienda, d’accordo con il nonno, ha scelto di produrre di meno, ma avere solo uva di alta qualità. Un modo di lavorare che è diventato il mio. Nella potatura effettuata a mano tagliamo i tralci in eccesso. Così rimangono da cinque a otto grappoli per ogni ceppo di vite. Invece un tempo non si buttava nulla. Poi togliamo le foglie che coprono l’uva in ombra. Anche la raccolta viene svolta rigorosamente a mano e nelle cassette. In questo modo possiamo controllare che gli acini non siano marci o secchi. Se ce ne sono vengono lasciati a terra. In cantina arriva solo il meglio dei grappoli: cioè quelli a posto e integri. La vinificazione si sviluppa con il controllo di tutte le operazioni, seguendo con attenzione i vari passaggi per ottenere dei buoni risultati. Dalla pigiatura alla fermentazione, all’affinamento”.
L’imbottigliamento? “In cantina il passaggio dalla botte alla bottiglia avviene in assenza di ossigeno e questo ci permette di non aggiungere solfiti: un altro percorso che aiuta a consolidare il percorso di qualità”.
Quindi, una produzione sicura e tutta al naturale? “Non abbiamo la certificazione biologica, ma utilizziamo molti dei metodi bio. Insetticidi e diserbanti li abbiamo banditi. I trattamenti li facciamo mirati e solo in caso di assoluta necessità per la tutela della vite. Quest’anno la vigna non era bellissima da vedere perché abbiamo avuto tante piogge. Però a noi non interessa avere le foglie belle, vogliamo avere la sostanza, cioè l’uva, che sia la migliore possibile. Sempre”.
Perché dovrebbero comprare i vostri vini? “La piccola dimensione dell’azienda ci consente di controllare personalmente i passaggi fondamentali nella vigna e nella cantina. Un percorso importante. E così sappiamo come avviene il nostro lavoro e possiamo raccontarlo a quanti acquistano: dagli interventi di potatura all’imbottigliamento. E per chi compra crediamo rappresenti una sicurezza”.
L’azienda, per le sei etichette, produce in media 35 mila bottiglie all’anno.
LA VENDITA
Irene: “Cerchiamo di vendere soprattutto al consumatore finale in azienda. Visto che siamo un piccolo pesce in un oceano di piranha dobbiamo farci conoscere personalmente e dare la possibilità di guardarci in viso. Le degustazioni servono a questo. Non abbiamo un orario di apertura della cantina: quindi consigliamo una telefonata prima di venirci a trovare. Poi, attraverso una rete di distribuzione, smerciamo i prodotti a Torino, Genova e ci stiamo ampliando a Milano. Inoltre, all’estero raggiungiamo la Germania, l’Austria, l’Olanda e l’Inghilterra. Ma stiamo promuovendo l’azienda anche sui social. Chi vuole può ordinare attraverso il sito Internet e e ricevere le bottiglie a casa”.
SODDISFAZIONI E PROBLEMI
Irene: “La soddisfazione maggiore è raccontare al consumatore la bottiglia di vino con il tanto lavoro che ci sta dietro. Il problema più grande è che con il Dolcetto non devi dare nulla per scontato e bisogna guadagnarsi la fiducia sul campo ogni giorno. Cioè poter tradurre il tanto impegno portato avanti in un prodotto richiesto dal mercato. Alle Istituzioni non saprei cosa domandare, perché credo che, innanzitutto, si debba andare avanti con le proprie forze”.
Ma aggiunge papà Dario: “E’ pur vero che sono passati solo trent’anni dallo scandalo del metanolo e quindi i controlli vanno effettuati con attenzione, però il carico burocratico sta diventando sempre più soffocante rispetto ad altri settori. Forse agevolare alcuni passaggi potrebbe essere di aiuto”.
PROSPETTIVE FUTURE
Irene: “L’obiettivo è di ampliare ancora il ventaglio della vendita, facendoci conoscere ulteriormente e aumentando l’accoglienza in azienda”.
A conclusione della chiacchierata chiediamo a Irene se l’azienda ha una filosofia sulla quale poggia il proprio lavoro. Lei non ci pensa un attimo e indica una frase scritta su un muro della sala degustazione: “Pazienza e passione creano un’emozione”. Aggiungendo: “L’abbiamo dedicata al nonno”.
Irene che, spesso, accompagna le parole a un sorriso contagioso, può guardare al futuro con fiducia. Perché, con l’aiuto di papà Dario, ha saputo unire le radici ai necessari percorsi innovativi. E il cuculo continuerà a diffondere l’antico verso sulle querce secolari del vigneto. Come segno di buon auspicio.












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