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Attualità | 19 aprile 2020, 09:30

La quotidianità al tempo del Covid-19: quattro chiacchiere con Mauro Mandrile, direttore del Mons. Signori

Dal taglio dei capelli alle mascherine, come è cambiata la giornata dei 31 ospiti della struttura

La quotidianità al tempo del Covid-19: quattro chiacchiere con Mauro Mandrile, direttore del Mons. Signori

L’istituto Monsignor Signori Provvidenza è una struttura di Fossano che ospita 31 persone diversamente abili. Al Mons, come viene affettuosamente chiamato dai fossanesi risiedono adulti disabili di tutte le età, molti dei quali anziani, e con stati di salute molto diversi tra loro. Sono seguiti da educatori, infermieri e oss e tra di loro, ci sono molte persone che normalmente escono nella città per piccole commissioni o passeggiate sia da soli, sia accompagnati dal personale.

Costruito in passato per mantenere i disabili “lontani dagli occhi, lontani dal cuore”, in una zona allora periferica, il Mons è, nella Fossano contemporanea, in pieno centro. Con la fortunata sensibilità nei confronti della disabilità che la nostra società ha faticosamente conquistato, in questi anni l’istituto si è integrato nella città con attività volte all’apertura, alla condivisione, all’integrazione.

Da inizio marzo questo percorso fatto di una ritualità fondamentale per gli ospiti dell’istituto si è in qualche modo pesantemente modificato: non possono più entrare i volontari, il personale deve mantenere distanze talvolta difficili da accettare, gli ospiti non si possono più concedere tonificanti passeggiate.

Come è cambiata in questo periodo la vita degli ospiti del Mons? Quali sono le principali difficoltà che si incontrano nella gestione degli ospiti, quali le paure del personale?

Lo abbiamo chiesto a Mauro Mandrile, responsabile della struttura.

“Il primo tema che abbiamo affrontato con i ragazzi è stato quello dei DPI. Noi indossiamo sempre una divisa, un camice. Non è di per sé obbligatorio, ma è consigliato perché consente di mantenere quella distanza richiesta dalla professionalità. I nostri ospiti, però, sono abituati a vederci in volto e ci siamo chiesti come presentarci da loro con le mascherine. Abbiamo deciso di farlo nel momento più conviviale della giornata, a pranzo. Anche se alcuni dei nostri ospiti leggono i giornali e ascoltano i notiziari, molti invece non riescono e avevamo bisogno di dare un segnale. Una volta avuti tutti a tavola siamo entrati insieme con il volto coperto dalle mascherine. È calato un silenzio di tomba. Allora abbiamo iniziato a scherzarci su”: Una volta accettata la mascherina come episodio divertente è arrivata la spiegazione: da quel momento in poi infermiere, oss ed educatori avrebbero indossato la mascherina per proteggerli dal virus che c’era all’esterno. “Adesso si sono abituati, sanno che se siamo all’interno della struttura indossiamo la maschera e che possono vedere il nostro volto solo se siamo soli all’esterno e li salutiamo attraverso i vetri”.

Il Monsignor Signori ha una peculiarità bellissima: due giornate di terreno all’esterno che consentono di curare l’orto, allevare lumache, piantare fiori. Una valvola di sfogo molto importante per i 32 ospiti che in questo mese hanno visto le loro abitudini cambiare: “Noi stessi ci siamo resi conto di quanto sia importante nel nostro lavoro il contatto fisico. Incontrarsi nel corridoio e fare finta di presentarsi dandosi la mano, una carezza, un gioco di gruppo che presuppone di toccarsi. Tutto questo lo abbiamo dovuto eliminare dalle nostre abitudini, ma ne stiamo riscoprendo altre”.

Uno degli elementi che Mandrile evidenzia come positivi di questa quarantena è la riscoperta del vivere il presente, il momento esatto: “Ci siamo resi conto che, nell’organizzarci per il possibile ingresso del virus nella struttura, stavamo perdendo il momento in cui stavamo vivendo e abbiamo cambiato atteggiamento, riscoprendo la bellezza di piantare dei fiori e di fare tante attività che prima non facevamo”. Senza volontari, infatti, molte attività hanno rischiato di interrompersi come quella del taglio mensile dei capelli, affidato a un parrucchiere in pensione: “Ci siamo attrezzati e abbiamo ripristinato questa attività che ha stemperato tantissimo la tensione. Per due giorni l’argomento di scherzo è proprio stato quello”.

La struttura è preparata all’eventualità di un ospite con la febbre, con tutte le difficoltà che comporterebbe: “Se uno dei ragazzi dovesse avere la febbre, dovrà essere messo in isolamento e questo è molto complesso per un disabile che spesso deve essere contenuto anche all’aria aperta. Devo ringraziare i miei colleghi perché questa situazione ha fatto emergere delle energie completamente rinnovate che hanno consentito di individuare il modo migliore possibile di affrontare la situazione, qualora accadesse”.

Chiaramente resta la paura di portare all’interno il Covid-19 da parte di chi proviene da fuori, ha contatti con l’esterno, ma le procedure sono applicate in modo molto rigido: “Già da fine febbraio, sentendo le notizie che arrivavano dall’estero, abbiamo chiesto ad alcuni volontari di sospendere temporaneamente le attività e a mettere in pratica le buone pratiche che venivano consigliate. In questo modo il lockdown è stato graduale per gli ospiti che non ne hanno accusato troppo il colpo”.

Finora le misure applicate hanno avuto buoni risultati: “Siamo fortunati, dall’inizio dell’epidemia nessuno dei nostri ospiti ha avuto febbre. Arriviamo a sera e ci diciamo, anche questa è andata. È stata una bella giornata, abbiamo riscoperto un modo nuovo per fare le cose”.

Un modo nuovo anche grazie alla scoperta di una rete di sostegno importante: “Devo ringraziare i medici di base, perché ovviamente le nostre chiamate sono state più assillanti che negli altri periodi dell’anno. Ci hanno sempre risposto con grande professionalità, rassicurandoci, aiutandoci ad adottare tutte le misure possibili per fare bene il nostro lavoro. Abbiamo anche scoperto una rete di persone che, attraverso la tecnologia, ci hanno fatto sentire meno soli: chi con un messaggio, chi aiutandoci a interpretare la normativa per capire quali misure fossero le più efficaci”.

Anche per il Mons la speranza è che si possa tornare al più presto a includersi gli uni con gli altri, l’esterno con l’interno e viceversa.

Agata Pagani

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