Si faticano a contare le prese di posizioni, durissime, sull’incomprensibile “stop” proposto dal Comitato tecnico scientifico e avallato dal Governo per la riapertura delle piste da sci, in programma inizialmente per oggi, 15 febbraio. Una riapertura che, in Piemonte, pareva già uno specchietto per le allodole, con un indice Rt a 0,93 e l’altissimo rischio di una zona arancione dalla prossima settimana.
Va detto, però, che si fa fatica davvero nel cercare di comprendere le modalità che il Governo del neopremier Mario Draghi ha deciso di adottare nei confronti delle stazioni.
Qui, sulle Alpi, nelle Terre Alte con cui tutti ci si riempiono sempre la bocca, ci si sente presi in giro. Già, perché – qui – tutta questa situazione sa di presa in giro. Non sappiamo se il ministro della Salute Roberto Speranza abbia mai messo gli sci ai piedi. Tendiamo ad escluderlo, perché altrimenti saprebbe come funziona una stazione sciistica. Piccola o grande che sia.
Saprebbe che una stazione o un comprensorio non si mette in modo con un interruttore o girando la chiave. Saprebbe che dietro alla riapertura del sistema neve ci sono ore e ore di lavoro, ettolitri di gasolio dei gatti delle nevi bruciati, preparazioni delle piste, che vanno sì battute, ma anche messe in sicurezza: dal materasso a copertura del palo dello skilift, alle reti a bordo pista.
Saprebbe anche che ci sono giorni di rifornimento dei locali ristoro che si affacciano proprio sulle piste.
Insomma, per dirla in altri modi, saprebbe che dietro al “sistema neve” ci sono anche posti di lavoro, famiglie, stipendi. Come tanti altri settori nel resto d’Italia.
Ma con una differenza: quella presa in giro di arrivare a 12 ore scarse dalla riapertura ed uscirsene con un “Scusate, ci siamo sbagliati” che sa di follia.
E le motivazioni? Le vacanze di Carnevale, di cui si sapeva da un anno (bastava consultare un calendario)? Le varianti, scoperte da settimane? Il “rebus” del “chi controlla sulle piste”? Tutto lascia l’amaro in bocca.
Qui, oramai, nessuno crede più neanche alla favoletta della “riapertura posticipata al 5 marzo”. Perché quel 5 marzo nient’altro è che la coincidenza con il termine delle norme previste nel Dpcm del 14 gennaio scorso. Norme che, è altamente ipotizzabile, possano venir prorogate, proprio come la chiusura degli impianti.
E allora, cara politica, qualcuno trovi il coraggio di dirlo a chiare lettere: “Dello sci in pista se ne riparla il prossimo inverno”. Sarebbe un’ammissione, una presa di posizione, un nero su bianco. Un dato certo.
Non fraintendiamoci: il virus – nella nostra Nazione – c’è ancora. Ma allora diciamocelo, e non teniamo un intero settore, che ha portato avanti pesanti investimenti per una riapertura annunciata, sul ciglio del precipizio, per poi dargli la “spintarella” finale poche ore prima della ripartenza.
Diciamocelo: la stagione finisce senza nemmeno iniziare.
Lo dica anche a chiare lettere chi, a Roma, fino a ieri faceva opposizione, e che oggi forse è ancora ancorato alle vecchie abitudini, pur sedendo nell’Esecutivo Draghi: c’è un tempo per tutto, anche per la vostra solita retorica. Oggi la gran parte delle forze politiche del nostro Paese siedono ai banchi del Governo.
Tutti, allora, si mettano al lavoro. Tra i tanti ristori ci sono anche quelli di una Montagna della quale spesso si parla, troppo spesso a sproposito.
Su queste montagne c’è gente che vorrebbe lavorare. E che di esser presa in giro non ne ha più voglia.













