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Attualità | 27 gennaio 2023, 15:45

Posata la prima pietra di inciampo a Garessio: ricorda Roberto Lepetit [FOTO E VIDEO]

Arrivata da Berlino e realizzata dall'artista Gunter Demnig, è stata collocata di fronte ai cancelli dello stabilimento Huvepharma, ex Lepetit

Posata la prima pietra di inciampo a Garessio: ricorda Roberto Lepetit [FOTO E VIDEO]

In tanti hanno voluto essere presenti questa mattina, venerdì 27 gennaio, a Garessio per la posa della prima pietra di inciampo del comune e di tutta la Val Tanaro. 

Non solo associazioni, sindaci e autorità, ma anche tanti cittadini e gli studenti delle scuole di Garessio e Bagnasco.

E' stata dedicata a Roberto Enea Lepetit la targhetta che è stata posata proprio di fronte ai cancelli di quella che oggi è l'Huvepharma e che, in passato, è stata la "Lepetit" che ha rappresentato una pagina importantissima della storia di Garessio.

“Sono contento di vedere tante persone presenti qui oggi” - ha accolto i presenti il sindaco Ferruccio Fazio, insieme agli assessori Paola Carrara e Pierandrea Camelia - “gli alpini, le scuole e i sindaci della valle. E l’Huvepharma nella persona del suo direttore, che ringrazio, per tutto quello che stanno facendo per Garessio”. 

Una scelta ponderata e soprattutto frutto di un grande lavoro di ricerca quella che ha portato a valorizzare e recuperare la storia di Lepetit. Lo scorso anno ad esempio, la biblioteca "Camillo Federici", in collaborazione con gli assessori Camelia e Carrara, aveva realizzato un video sui Lepetit. Con riprese e montaggio di Luca Locci e Francesco Viglino, sono state raccolte le interviste all’amministratore delegato di Huvepharma, Nicola De Risi, al garessino Ugo Odasso (ex dipendente del Gruppo), a Roberto Lepetit, nipote di “Roby” Lepetit, e all’avvocato Vincenzo Enrichens il cui padre era stato salvato dall’arresto proprio da Lepetit dopo l’8 settembre. 

“Una giornata importante - ha commentato l’assessore Paola Carrara - perché stiamo per depositare la pietra di inciampo a Roberto Lepetit, arrivata direttamente da Berlino e realizzata dall'artista Gunter Demnig. La poseremo qui, di fronte all’Huvepharma, ex Lepetit, suo luogo di lavoro affinché le future generazioni possano ricordare una persona che ha fatto tanto per il nostro paese, scegliendo di stare sempre dalla parte del giusto, anche a costo della vita".

Toccante l'intervento di Nicola De Risi, amministratore delegato di Huvepharma che, già lo scorso anno aiutò il recupero della memoria di Lepetit e dello stabilimento, dando il via libera alle giornate FAI per aprire Villa Lepetit al pubblico.

“Ciò che Roberto Lepetit fece - ha detto - rappresentò un grande salto per il progresso dello stabilimento. Questa pietra verrà vista da tutti quelli che passeranno di qui, ma il senso più profondo è quello di ricordare quello che è successo per evitare che si ripeta”. 

L’ARRIVO DELLA FAMIGLIA LEPETIT A GARESSIO

Robert Georges Lepetit, di natali francesi, fonda la Lepetit&Dollfus nel 1868 con il cognato Albert (poi allargata ad un altro socio Auguste Gansser nel 1878). Nel 1915 nasce la Ledoga dalle iniziali dei tre cognomi. Nel 1894 sorge lo stabilimento di Garessio, per produrre il tannino, ricavato dalle cortecce e dal legno del castagno, utilizzabili nel settore dei coloranti per la concia delle pelli. A questa lavorazione si affianca e prende rilevanza commerciale e industriale l’attività farmaceutica.

Nasce infatti a Garessio nel 1903 il primo farmaco di sintesi italiano, l’Almateina, un disinfettante intestinale cui fanno seguito efficaci medicinali antinevralgici e antireumatici. Mancato il capostipite Robert, subentrano i figli Roberto e Emilio: il primo fautore di grandi ricerche scientifiche e il secondo brillante e coraggioso nella gestione amministrativa. Alla morte di Emilio nel 1919 e di Roberto nel 1928, proprio Roberto Enea Lepetit, figlio ventiduenne di Emilio - nato a Lezza di Erba nel 1906 - si assumerà la responsabilità di dirigere l’azienda.

Il geniale imprenditore riuscirà a imporre sui mercati la Lepetit che conquista posizioni di leadership del settore. Vanto dello stabilimento di Garessio, che nel 1940 occupava 200 maestranze, anche quello di aver avviato la produzione del Tiazene il primo sulfamidico italiano. Negli anni successivi uscirà il Cloramfenicolo, il primo antibiotico di sintesi realizzato in Italia. Il prodotto è stato trattato per trent’anni nello stabilimento di Garessio, venduto in Italia con marchio Sintomicetina, prescritto per combattere tifo, paratifo e brucellosi.

CHI ERA ROBERTO LEPETIT - La ricerca diffusa dalla biblioteca di Garessio 

ROBERTO LEPETIT E LA RESISTENZA

Condizionato e sempre più insofferente al regime fascista, a partire dal 1942 Roberto Lepetit dalla sede centrale di Milano decide di aderire alla lotta partigiana prendendo contatti con il Comitato di Liberazione Alta Italia. Dopo il bombardamento di Milano del 24 ottobre del 1942 con la moglie Hilda e i due figli Emilio (nato nel 1930) e Guido (classe 1932) si trasferisce a Garessio. Successivamente nel settembre 1943, nei giorni successivi all’Armistizio, Lepetit, come scrisse sua moglie Hilda nel diario: “aveva già aiutato i 360 prigionieri jugoslavi che erano detenuti nel campo del Miramonti, facilitandone la fuga quando si era intuito l’arrivo dei tedeschi…“. 

Nel maggio del 1944 la situazione a Garessio si fa sempre più pericolosa e Lepetit decide di rendere più diretti i contatti con la Resistenza in Lombardia. Qui, con l’amico Sandro Piantanida raccoglie informazioni, organizza campi di atterraggio per paracadutisti sul lago di Como a Volesio. Viene arrestato il 29 settembre 1944 nel suo ufficio di Via Tenca, ora via Lepetit, la strada dedicata a sua memoria dal Comune di Milano. Viene accusato per una serie di messaggi con dati in codice, subisce interrogatori estenuanti e violenze fisiche nell’Albergo Regina da parte delle SS e viene imprigionato nel carcere di San Vittore. Il 16 ottobre ‘44 il trasporto a Bolzano, perché aveva rifiutato di firmare una supplica che gli avrebbe concesso la libertà. Resta per un mese nel campo di concentramento in Alto Adige da cui riesce a scrivere ed a fare avere di nascosto una ventina di lettere per la moglie - che andrà alcune volte a trovarlo per portargli pacchi -; forte in lui il “terrore di andare più a nord di qui”. Riesce a far installare nel campo una farmacia per convogliare medicinali e viveri per i 1.400 prigionieri, ma il 18 novembre viene destinato alla Germania. Entra nel terribile lager di Mauthausen, poi in quello Melk (dove 8.000 internati lavoravano nelle gallerie ricavate dai tedeschi per nascondere le officine belliche) e il 13 aprile 1945 avviene l’ultimo trasferimento nel campo di sterminio di Ebensee, in Austria. Il 27 aprile viene ricoverato in infermeria forse per tubercolosi e morirà il 4 maggio. Tre giorni dopo il campo sarebbe stato liberato dagli Alleati. Quattro giorni prima, il 30 aprile, Hitler si era suicidato nel bunker di Berlino. Ferruccio Parri, capo del primo governo italiano del dopoguerra ispirato dai movimenti della Resistenza, ricordando l’incontro clandestino a Milano con Roberto Lepetit nella primavera del ’44 ebbe a dichiarare: «Intendevo dietro di lui un ambiente ed energie nuove ancora per me, o quasi, nel panorama sociale che il movimento della resistenza veniva tumultuosamente abbozzando. E ascoltando le sue informazioni mi studiavo, quasi involontariamente, di capire la mentalità, l’educazione, le ascendenze spirituali di quest’uomo, semplice e schivo, cordiale e riservato. L’umanità del suo sorriso disarmava la mia diffidenza quasi professionale e lo rivelava meglio delle parole, quasi pudiche della generosità e determinazione che erano il fondo del suo carattere. Era un signore».

La  vedova Hilda fece erigere nel campo di Ebensee, opera dell’amico Gio’ Ponti, celebre architetto e designer, un’alta croce, recentemente restaurata e conservata dall’ANED, l’Associazione nazionale ex deportati, con la scritta: “Al marito qui sepolto, compagno eroico dei mille morti che insieme riposano e dei milioni di altri martiri di ogni terra e di ogni fede, affratellati dallo stesso tragico destino, una donna italiana dedica, pregando perché così immane sacrificio porti bontà nell’animo degli uomini”.

Arianna Pronestì

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