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Attualità | 26 aprile 2023, 12:06

Secondina Dutto ricorda il 25 aprile del 1945: "Un camionista passò davanti alla scuola gridando 'viva la libertà'"

Originaria della frazione Rivoira di Boves, ha 91 anni ed è una delle ultime testimoni dell'eccidio del 19 settembre del 1943. Aveva appena 11 anni, ma ricorda bene le case in fiamme e il fumo che saliva al cielo

La signora Secondina Dutto

La signora Secondina Dutto

La prima strage dei nazisti in Italia ha la data del 19 settembre 1943. Venne compiuta a Boves, dove si era formata una delle prime unità partigiane.

In questo 2023 ricorrono gli 80 anni da quel tragico fatto, quando vennero uccisi 23 civili e parte del paese fu data alle fiamme. Un anniversario importante, celebrato ieri dalla visita del Presidente Sergio Mattarella, che qui ha concluso la sua visita istituzionale in Granda.

"E' stato bellissimo avere qui il Presidente. L'ho seguito in televisione e ho ascoltato tutto il discorso al Toselli. Le sue parole sono state perfette".

A parlare così è Secondina Dutto, classe 1932, originaria di Rivoira.

La signora Secondina è una donna piena di forza e di vitalità, vive ancora da sola e aiuta la nipote, l'assessora alle Manifestazioni del Comune di Boves, Enrica Di Ielsi, nella gestione dei figlioletti di 7 e 5 anni. La sua casa è piena dei giochi dei due bambini, che la chiamano affettuosamente "nonna Bissy".

Ieri l'abbiamo incontrata, nella giornata di Mattarella, nella sua Boves. E' una delle ultime testimoni di quel tragico 19 settembre del 1943.

E' lucida nel raccontare quei drammatici giorni. "A Castellar passavano i camion pieni di morti - ricorda. I tedeschi prendevano in ostaggio dei bovesani per tre o quattro giorni. Se fosse capitato qualcosa, sarebbero stati uccisi. Presero mio padre e mio fratello. Furono dei giorni bruttissimi, non sapevamo se li avremmo rivisti vivi. Mia madre era incinta di mia sorella, era disperata".

Poi ricorda che si dormiva spesso nelle stelle, sotto le assi di legno coperte dalla paglia. Le fughe nella notte, a Chiusa Pesio, a casa degli zii, in una zona meno pericolosa. "Mio padre ci portò di notte, su un carretto, con delle micche di pane".

Della notte in cui Boves venne bruciata, ricorda le fiamme il fumo, che si vedevano da lontano. Lei era a Chiusa Pesio, bruciarono tre case della sua famiglia. "Quella dove vivevamo noi era semplice ma dignitosa. Mio padre ci teneva tanto, faceva tanti lavoretti per renderla più confortevole. Quella notte, a Castellar, Rivoira e San Giacomo, bruciò tutto".

Ricorda ancora i vicini di casa, due fratelli partigiani e la sorella, una portaordini. I tedeschi andavano spesso lì a cercarli, ma fortunatamente non vennero mai catturati. "Dopo la guerra andarono a vivere a Torino. I tedeschi venivano sempre. Di quei tempi ricordo la grande paura, si viveva nel terrore. Per fortuna nessuno della mia famiglia è stato ucciso. Noi stavamo con i partigiani".

Infine il ricordo più bello: "Il 25 aprile del 1945. Ero davanti alla scuola. Passò Cavallo, quello dei camion. Gridava "viva la libertà. E' finita la guerra". Sentii le sue urla, fu un momento bellissimo, anche se avevo 13 anni e non capivo davvero cosa fosse successo".

Da quel giorno, tutto è ricominciato. Una vita piena e intensa, la sua. "Sa cosa mi spaventa adesso? Che viviamo in un tempo pieno di guerre: non parlo solo di quelle con le armi, ma di quelle che nascono dall'indifferenza e dall'odio. Eppure, voglio essere positiva. Se faccio un bilancio dei miei ormai 91 anni, posso dire di essere stata una donna fortunata. Non ho mai smesso di sorridere alla vita". 

Barbara Simonelli

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