In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà» (Mc 10,17-30).
Oggi, 13 ottobre, la Chiesa giunge alla XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B, colore liturgico verde).
A commentare il Vangelo della Santa Messa è don Claudio M. Berardi, teologo e direttore Centro Studi Salus Hominis.
Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole per accendere le ragioni della speranza che è in noi.
Eccolo, il commento dal titolo: “Il giovane ricco e la sapienza della “spada” a doppio taglio”.
In quel tempo Gesù “andava per la strada”, non era in casa perché non aveva un “nido” o una “tana” dove stare: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58). Ad un tratto un giovane ricco si gettò ai suoi piedi. Non era un povero o un malato, un peccatore o un ossesso, come normalmente accadeva. Il ricco, tra lo stupore dei presenti, non chiese una guarigione per sé o per i suoi cari, non chiese un posto privilegiato tra gli apostoli. Ecco la sua richiesta: «Cosa devo fare per avere la vita eterna?». È la domanda che oggi, anche noi, dovremmo fare a Gesù.
Questa domanda è come una spada a due tagli che entra nell’anima e ci aiuta a discernere su cosa chiedere al Signore. Quando preghiamo che cosa chiediamo a Dio? Dai sacerdoti e dalla Chiesa che cosa ci aspettiamo di ricevere? La vita eterna o consolazioni per la vita terrena? Non perdiamo tempo nel chiedere cose effimere, perché Egli sa di che cosa abbiamo bisogno prima ancora che glielo chiediamo. Chiediamo invece ciò che conta, la vita eterna, che è la salvezza dell’anima e del corpo, perché anche il corpo parteciperà alla gloria eterna con la risurrezione della carne.
La risposta di Gesù al ricco non piace a nessuno. Rattrista il giovane che se ne va a cercare consolazione nei beni terreni di sua proprietà e preoccupa gli apostoli che sbottano: «E chi può essere salvato?». La “spada” della Parola di Gesù entra in noi una seconda volta per aiutarci a distinguere il bene dal male. L’osservanza dei comandamenti ed essere praticanti è la base per diventare buoni, ma non consiste nell’essere buoni, perché “nessuno” è buono, nessuno è senza peccato, nessuno può permettersi di scagliare la prima pietra sugli altri; neppure Gesù che è la bontà incarnata è venuto per condannare ma è venuto per salvare dalla morte eterna. Sentirsi psicologicamente buoni perché si va in chiesa o perché si fa del bene ai poveri, non significa essere buoni secondo lo sguardo sapienziale che ci viene dato da Gesù.
La superbia di giudicarsi buoni e l’attaccamento a se stessi, come alle cose che si posseggono, sono un ostacolo per avere la vita eterna. Chi mi vuol seguire, dice Gesù, rinneghi se stesso e ogni giorno prenda la sua croce. Andare in chiesa con l’orgoglio nel cuore, credendosi e atteggiandosi da buoni e devoti cristiani, ci allontana dalla vita eterna. Impegnandosi per i poveri con ideologica auto compiacenza, senza una vera vita di fede e un’autentica pratica religiosa, alimenta l’illusione di “fare il bene”, riempiendo le giornate di agitazione, cercando gratificazione nel fare il bene con i soldi degli altri; costoro hanno già ricevuto la ricompensa in questa vita, ma non avranno la vita eterna (Mt 6,1-4), anche perché non l’hanno mai cercata né chiesta.
Ma non temete, dice Gesù, nessuno che lascia tutto per seguirmi perderà la ricompensa eterna, insieme al centuplo in questa vita. È noi che siamo desiderosi di seguire il maestro, come faremo con tutte le nostre miserie, con tutte le buone intenzioni mescolate con l’ipocrisia del nostro egocentrismo? Come il vino buono servito a Cana di Galilea alla fine del convivio, anche nel Vangelo di questa domenica ci viene servito il vino nuovo che ci fa pregustare la bontà di Dio che ci attende nel suo regno d’amore infinito: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».