Un dialogo inedito, vero ed emozionante quello che si è tenuto questa mattina, venerdì 16 maggio, tra Luciano Ligabue e Matteo Zuppi all’interno del Centro Congressi Auditorium di Torino, in occasione del Salone Internazionale del Libro.
Presentati dal giornalista e scrittore Gigio Rancilio, il noto rocker di Correggio ed il cardinale arcivescovo di Bologna, nonché presidente della Conferenza Episcopale Italiana, hanno tenuto un incontro dal titolo “Le Storie, la Storia. Dall’Io al Noi”.
Una storia, la propria, nell’unicità che appartiene a ciascuno. I due protagonisti si sono raccontati al pubblico, ripercorrendo in modo particolare alcuni momenti che per loro sono stati di profondo impatto. Fragilità e forza i fili conduttori, in dialogo oltre retorica che ha saputo entrare nel profondo dell’esperienza umana.
Entrambi, pensando al vissuto per loro più doloroso, hanno raccontato di un lutto: quello del figlio per Luciano Ligabue, quello del padre e quello di una cara amica di gioventù invece per Matteo Zuppi. L’uno che si definisce “Laico con un forte bisogno spirituale”, l’altro che ha scelto invece la strada religiosa, umanamente uniti da quel domandarsi ed aver sperimentato nel profondo un senso di ingiustizia, portando il peso di quella ed altre sofferenze.
Altri momenti poi, d’infanzia e gioiosi, ripercorsi con tenera nostalgia: i deliziosi gnocchi di nonna Barbara per Ligabue e quel risotto allo zafferano gustato con i genitori per Zuppi. Ed ancora un presente e ad un futuro segnati dall’incertezza, dalle guerre, da differenze economiche spropositate e da muri di dialogo. Il ricordo così di Papa Francesco e del suo impegno per la pace, quella parola sottolineata anche da Papa Leone XIV nel suo primo discorso ai fedeli. Contro la guerra anche le parole di “Il mio nome è mai più” brano cantato da Luciano Ligabue, Lorenzo Jovanotti e Piero Pelù che lo scorso anno ha compiuto 25 anni.
Due vite, Ligabue e Zuppi, due IO la cui storia racchiude più di tutto coincidenze incontri e legami, la consapevolezza che “senza un noi l’io è prigioniero” e che “è soltanto nell’incontro con l’altro che scopriamo davvero noi stessi”. Ed è lì, soltanto ed ancora, che per entrambi c’è quell’unico futuro possibile.