Il Piemonte sperimenta una novità che potrebbe fare scuola in tutta Italia: il Daspo cinofilo. È un provvedimento che suona semplice, ma ha una portata profonda: vieta a chi è stato condannato – o anche solo indagato – per maltrattamenti su animali di poterli detenere di nuovo, o persino di avvicinarsi a cani.
Funziona attraverso l’anagrafe canina nazionale informatizzata, un sistema che rende visibili i “segnalati” a tutte le regioni italiane. In pratica, evita che chi ha già abusato possa aggirare i controlli cambiando provincia o città. Una sorta di lista nera che, almeno sulla carta, dovrebbe proteggere gli animali e anche prevenire comportamenti antisociali più ampi.
“Il Daspo cinofilo è uno strumento che protegge gli animali e, al tempo stesso, la collettività - spiega Giusy D’Angelo, vicepresidente dell’ENPA -. Numerosi studi criminologici dimostrano come la violenza sugli animali rappresenti una forma primaria di devianza, spesso precorritrice di comportamenti antisociali e criminali verso altri esseri umani. Ignorare questi segnali significa sottovalutare un potenziale rischio per l’intera società”.
La misura è già operativa nel Comune di Nichelino, ma si parla di estenderla su scala nazionale. Una proposta di legge è stata depositata alla Camera per ampliare la sperimentazione e renderla stabile in tutto il Paese.
Il meccanismo sembra semplice: chi è stato condannato o è sotto procedimento per maltrattamenti viene iscritto in un registro. Da quel momento, non potrà più adottare, detenere o avvicinarsi a cani. Un freno a chi ha trasformato un animale in vittima. Un segnale chiaro che la tutela degli animali è parte della tutela della comunità.
Ma la strada, come spesso accade, non è senza ostacoli.
Barbara Bagnis, presidentessa dell’associazione Amici di Zampa, conosce bene i limiti che separano le buone intenzioni dalla realtà: “Tutto bellissimo sulla carta, ma la realtà è un’altra. Quasi nessuno denuncia. E quando la denuncia viene fatta, la legge spesso non viene applicata e i reati restano impuniti. Noi abbiamo vissuto questa situazione in prima persona: anni fa ci siamo ripresi un cane che avevamo affidato in adozione. Era ridotto pelle e ossa, pur senza problemi di salute. Abbiamo denunciato, eppure dopo anni il giudice ha deciso che ‘non fornire cibo non configura reato di maltrattamento’. In seconda battuta, la famiglia ha poi acquistato un cane”.
Bagnis approfondisce ulteriormente la falla spiegando: "Il problema più grande è che la gente non denuncia. Le poche mosche bianche che lo fanno non vengono ascoltate. E poi c’è la paura: spesso si tratta di vicini di casa e la gente teme ritorsioni, quindi preferisce tacere. Ci chiamano in tanti per raccontarci abusi e maltrattamenti, ma quando diciamo di denunciare o di contattare ASL e forestale, si tirano indietro. Vorrebbero farlo in modo anonimo, ma non è possibile. E così, tutto finisce lì”.
Il Daspo cinofilo c’è, ed è un passo avanti, ma resta appeso a un filo: la volontà delle istituzioni di applicarlo davvero e la capacità delle persone di denunciare. Senza paura, senza rassegnazione.
E, come ricorda Bagnis, con la consapevolezza che la responsabilità di proteggere gli animali inizia anche da un gesto semplice, che può dare respiro a chi, ogni giorno, combatte perché nessuno resti indietro.