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Eventi | 08 ottobre 2025, 19:35

INTERVISTA / Il Festival dei Luoghi Comuni inaugura l'edizione 2025 con “L’Antico Egitto tra bufale e verità”

Giovedì 9 ottobre Divina Centore del Museo Egizio apre la rassegna del festival smontando bufale millenarie in un “racconto che non ti aspetti”

L'egittologa Divina Centore, al Museo Egizio dal 2018

L'egittologa Divina Centore, al Museo Egizio dal 2018

Il Festival dei Luoghi Comuni, in programma da giovedì 9 a domenica 12 ottobre,  apre la sua settima edizione con l’incontro dal titolo “L’Antico Egitto tra bufale e verità, il racconto che non ti aspetti” che ha l’obiettivo di smontare i falsi miti e le bufale dell’immaginario collettivo sull’antico Egitto. Il festival, ideato e organizzato dall’associazione culturale CUADRI ETS, quest’anno propone il tema delle “Narrazioni collettive tra complessità e convenienza”, in cui si inscrive perfettamente l’appuntamento con il prestigioso Museo Egizio di Torino.

Giovedì 9 ottobre alle 18 presso lo Spazio Incontri della Fondazione CRC, ad aprirci gli occhi sulle verità dimenticate, tra faraoni maledetti, piramidi misteriose, architetti alieni e formule magiche, sarà Divina Centore, egittologa che lavora al Museo Egizio dal 2018, specializzata in ceramica, flora dell’antico Egitto ed Egittomania. Il suo lavoro quotidiano consiste proprio nel restituire, tramite la divulgazione scientifica, la vera storia di una civiltà che spesso è stata trasfigurata.

Incontro gratuito con prenotazione obbligatoria: Accesso gratuito con possibilità di prenotazione QUI

  

Abbiamo avuto il piacere di rivolgere alcune domande a Divina Centore in vista di questo appuntamento inaugurale. A voi l’intervista.

Il titolo dell’incontro promette di smontare i falsi miti e le bufale dell’Antico Egitto. Quali sono quelli più duri a morire?

Diciamo che forse l’Antico Egitto è uno dei luoghi più comuni dell'immaginario collettivo. Crediamo di conoscerlo senza verificare le nostre idee, che ci arrivano dal cinema e dai libri, come l'idea della maledizione, per esempio quella di Tutankhamon, oppure l'idea della costruzione delle piramidi, di cui si è parlato tantissimo, ma non solo. In mezzo a queste ci sono anche miti semplici ma duri a morire, come quello che spopola sui social sui gatti venerati come dei. Quindi ce ne sono tanti altri, ma inizieremo da quelli più noti.

Il Museo Egizio si trova spesso a dover combattere contro stereotipi consolidati?

Fa parte del nostro lavoro. Ovviamente, vogliamo spiegarli con il lavoro di ricerca che svolgiamo dietro le porte del Museo. Prima di tutto, non vanno smontati ma compresi. Bisogna capire da dove sono nati per poterli smentire e rispondere alle domande. Vogliamo mostrare come i luoghi comuni sono non tanto comodi ma poveri nel loro semplificare una civiltà molto complessa. La nostra ricerca archeologica vuole mostrare le persone vere, gli scambi culturali, la storia. Il lavoro del Museo è quello di restituire complessità e umanità alla storia.

La maledizione dei faraoni: c’è qualcosa di vero o si tratta solo di un’invenzione cinematografica?

Nel corso della presentazione andremo a capire da dove si è generato il mito, che si è diffuso dalla scoperta della tomba del faraone Tutankhamon, anche se in realtà la leggenda è nata prima e si è andata poi a ingigantire. Capiremo insieme se esistono davvero queste maledizioni oppure no.

La narrazione degli architetti alieni: come risponde l’Egittologia a queste narrazioni?

L’Egittologia risponde portando l'attenzione sul sito archeologico, che è quello che si farà durante la presentazione, dove vedremo come esistevano le case degli operai che hanno lavorato alle piramidi, che hanno lasciato delle tracce all’interno delle piramidi stesse, oltre al sottolineare l'esistenza di documenti, papiri e analisi paleo-ambientali. Inoltre c'era anche la presenza di un ramo del Nilo che arrivava ai piedi delle piramidi e poteva aiutare il trasporto dei blocchi.

Lei lavora  nel dipartimento “Interpretazione, Accessibilità e Condivisione”. Come si traduce la ricerca scientifica in racconto accessibile al pubblico?

Anzitutto c’è un lavoro molto stretto con il comparto di ricerca dell’Ufficio Curatori: ci si chiede che cosa si vuole davvero raccontare e si costruisce poi una narrazione efficace, ma non banale. Si spiegano i termini tecnici, con un focus specifico su un argomento che si ritiene possa essere più importante da diffondere, fornendo anche materiali per ulteriori approfondimenti. Per noi, un mezzo molto importante è la nostra web app, strumento di guida in autonomia, sulla quale si possono trovare tantissime tracce di approfondimento per curiosare ed approfondire, che permettono di uscire dal Museo comprendendo ciò che si è visto e di raccogliere delle informazioni extra per i più appassionati. Sicuramente lo strumento più utile è la ricerca, per capire anche dove si sono generati gli errori, raccontarli e dimostrare i dati, non solo con una storia.

Social media e piattaforme digitali: opportunità o rischio per la divulgazione scientifica?

In realtà sono una grandissima opportunità: noi li usiamo per raggiungere anche quelle persone che non arrivano fisicamente al museo, ma possono comunque sentirsi parte della comunità online. Si possono andare a vedere gli oggetti dietro alle vetrine per apprezzarli al meglio. Questa community è utilissima per noi perché grande parte della ricerca è l’ascolto. Quindi diventa un database per raccogliere informazioni, per capire il pubblico, per capire cosa le persone vogliono sapere, riceviamo critiche per migliorare il nostro lavoro. Tantissimi hanno a volte il timore di chiedere di persona, invece sui social si sentono più sicuri e ci chiedono per esempio libri e bibliografie legati all’Antico Egitto.

Qual è la sfida più grande oggi nel comunicare l’Egittologia tra social e cultura pop?

Muoverei una critica nei confronti degli egittologi stessi, perché forse ci mancano gli strumenti utili nel raccontare le cose: ci barrichiamo nella disciplina con parole tecniche inaccessibili e diventa per molti più affascinante guardare un film sulla mummia. Forse abbiamo contribuito noi stessi alla creazione di certi luoghi comuni, per la paura di banalizzare, ma la divulgazione può essere svolta anche con parole semplici. Lo stesso Egitto ha generato l'Egittomania, tanti falsi miti che si sono diffusi rimangono molto difficili da smontare, perché la verità può sembrare più banale dell’invenzione, e il nostro ruolo è anche questo: rendere più interessante la verità.

A volte la realtà storica è più intrigante della leggenda. Ci fa un esempio?

Penso che scoprire chi e come ha costruito le piramidi sia più affascinante che pensare a degli alieni o qualche altra popolazione. Persone come noi che sono vissute nel nostro passato, come avranno fatto? Scoprire le loro modalità, gli errori... trovo sia più intrigante.

Quale scoperta recente più  l’ha colpita per la sua capacità di ribaltare i luoghi comuni?

In verità per il momento non penso ci sia stato nulla che abbia ribaltato davvero la situazione. Forse le recenti scoperte fanno davvero capire qual è il lavoro che sta dietro all’archeologia, ribaltando il mito di Indiana Johns. La tomba di Thutmose II mostra quanto tempo ci vuole e quanta cura c’è in uno scavo stratigrafico, l'attenzione verso gli oggetti, quanti profili servono per mostrare poi al pubblico il risultato del lavoro.

Come si può educare la popolazione, soprattutto i giovani, a distinguere da fonti attendibili e pseudoscienza?

Certo, non basta dire che una cosa è falsa per insegnare qualcosa a qualcuno. Bisogna sviluppare un senso critico e chiedersi chi ha scritto cosa, perché e con quali dati. È importante rivolgersi a quelle figure e quei profili che sono autorevoli nel settore e penso che sia importante fare un fact checking sui siti, riviste e articoli che si leggono. Ci sono molte riviste che non sono riconosciute a livello scientifico, ma spesso pubblicano quegli articoli che creano la 'fantarcheologia'.

Qual è il messaggio più importante che vorrebbe arrivasse al pubblico del festival?

Vorrei che rimanesse l'idea di come il lavoro di divulgazione sia quello di trasformare la ricerca in una narrazione viva, che può stupire come una leggenda, ma che sia vera di base. Vorrei che le persone tornassero a casa con delle tecniche per poter valutare le bufale e con un occhio più critico. Mi auguro che questo incontro stimoli la curiosità di molti e li porti a visitare il Museo Egizio.

Daria Abashkina

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