Quando nell’agosto 2019 l’allora vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, leader della Lega, tolse la fiducia al Governo Conte uno non fu solo per le tensioni con i colleghi di maggioranza dei 5 Stelle, ma perché aveva in mente un percorso preciso: non doversi occupare della Legge di Bilancio. Troppo poche le risorse da mettere sul piatto e quindi facilmente criticabile dai cittadini.
Infatti il Conte due, nato un mese dopo e sostenuto da Grillini, Partito Democratico e Liberi e Uguali, a cui in seguito si è aggregato il gruppo di Italia Viva di Matteo Renzi, che la Legge di Bilancio l’ha dovuta costruire, ha sì evitato l’aumento dell’Iva, ma l’avrebbe fatto chiunque fosse stato in quel momento al governo del Paese. Per il resto, onestamente, ci sono davvero poche misure che possono segnare una piccola svolta. Anche se sono state sbandierate come la panacea di molti mali.
Adesso il Conte due deve affrontare estenuanti scontri interni alla maggioranza. In più domenica 26 gennaio si vota per la guida amministrativa di Calabria ed Emilia-Romagna. Nella prima regione il centrodestra (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia) sembrerebbe avere un grande vantaggio sul centrosinistra e i 5 Stelle, in corsa con liste separate. In Emilia-Romagna il centrosinistra con il presidente uscente, Stefano Bonaccini, parrebbe essere leggermente davanti al centrodestra della candidata Lucia Borgonzoni. E l’aspirante governatore grillino, Simone Benini, si fermerebbe a un consenso sotto le due cifre.
Prima riflessione. Se il Movimento 5 Stelle, vista l’alleanza a livello nazionale con Pd, LeU e Italia Viva, avesse appoggiato Bonaccini, quest’ultimo poteva vincere senza problemi. E, infatti, l’attuale segretario del Pd, Nicola Zingaretti, continua a lanciare il messaggio ai 5 Stelle che un accordo sui territori tra le due forze politiche è l’unica strada per essere un’alternativa al centrodestra. Ma il Movimento con il capo politico, Luigi Di Maio, non ne vuole sapere di un’intesa strutturale. Una contraddizione. Infatti, entrambi per conto proprio, al momento, non hanno i numeri per governare da nessuna parte.
Altra riflessione. Molti osservatori, giustamente, continuano a sottolineare che le elezioni amministrative non vanno confuse con quelle politiche e che la nostra è una Repubblica parlamentare: di conseguenza, se un Governo nazionale ha i numeri alla Camera e al Senato è legittimato a guidare il Paese. Ma nel caso in cui il centrosinistra perdesse la guida dell’Emilia-Romagna, storica roccaforte “rossa”, lo smacco per la coalizione sarebbe devastante. E non solo. Dopo le politiche del 2018, più volte a livello locale il centrodestra ha sconfitto il centrosinistra. E sempre dai sondaggi dei mesi passati il centrodestra avrebbe ormai la maggioranza dei voti degli italiani (addirittura vicino al 50%).
Quindi, sarebbe una questione di buon senso andare presto alle urne per il Parlamento.
Massimo D’Alema si dimise da presidente del Consiglio il 19 aprile 2000 per - disse - “un atto di sensibilità e di correttezza politica”, dopo la sconfitta del centrosinistra alle elezioni regionali di tre giorni prima.
Conte non sembrerebbe intenzionato ad abbandonare la guida del Paese. Per cui, può essere solo il Parlamento a sfiduciare il suo Governo due facendogli mancare i numeri. Prospettiva probabile, soprattutto al Senato, viste le fibrillazioni continue dell’alleanza giallo-rossa e l’uscita quasi quotidiana di esponenti 5 Stelle dal loro Movimento.
L’attuale maggioranza, nonostante alcuni dei suoi rappresentanti sostengano che governerà fino alla scadenza naturale della legislatura, dà l’impressione di essere ormai giunta al capolinea. Anche se prima dello scioglimento delle Camere, il Capo dello Stato dovrà verificare se esiste ancora un’altra possibile strada da percorrere.