Gentile Direttore,
che cosa sta succedendo?
Ho letto un articolo riguardo le “Indispensabili fusioni fra i piccoli Comuni”, con le interviste fatte ad alcuni sindaci esponenti della politica locale, regionale e nazionale. Il succo e in sintesi gli argomenti trattati sono stati le unioni, le fusioni, l’imposizione e volontarietà, la convenienza economica e la fattibilità territoriale.
Sulle unioni si ragiona in modo molto vario e senza un impegno caratterizzante da parte di tutti gli intervistati. “Si fa fatica a fare le unioni” dice il Presidente Uncem, “figuriamoci le fusioni”: è stato chiaro Lido Riba. Con questa frase ha fotografato l’esatta situazione della nostra provincia ma anche di altre province della nostra regione.
La fatica che si prova a confluire nelle unioni è legata soprattutto alla costrizione e alle due uniche formule adottate unioni e fusioni. E’ possibile, mi chiedo, che non possano esistere altri repertori condivisibili come ad esempio l’associazionismo, la cooperazione, che contiene in sé tutti i requisiti di ente a valenza legale e d’indirizzo?
La necessità di collaborare è un dato ormai acquisito ed è sentita da parte di tutti i comuni. Sono i modi proposti dallo Stato che inquietano e inaspriscono i confronti. L’autonomia costituzionale dell’ente minore è protagonista ma è in bilico così che la libertà comunale è vissuta in modo fisico oltre che interiore. L’identità dei singoli non può essere barattata con affermazioni e leggi che si contraddicono e che forzano e generano solo confusione e intolleranza. Ha ragione il Sindaco Borgna quando dice “Rendere più efficiente l’amministrazione dei territori è un obiettivo da perseguire, ma rispettando le comunità locali”.
Queste, per convinzione di tutti, nel concetto di riordino generale devono e sono intoccabili, perché sono la sostanza dell’esistere, la prospettiva di un territorio. I comuni e il territorio sono, infatti, un tutt’uno. Così non sono solo un aspetto formale del dibattito ma l’elemento caratterizzante di condivisione, di partecipazione e di vita, di difesa dei valori irrinunciabili di una popolazione, della sua cultura e delle sue tradizioni.
Roberto Bodrito conferma con un dubbio un atteggiamento ormai compreso da moltissimi sindaci quando afferma “Bisognerebbe capire se lo Stato crede nei piccoli Comuni”. Infatti, completerebbe il pensiero, la risposta che allo Stato dei piccoli comuni non gliene frega nulla. Per essere rispettati ci vuole serietà, attendibilità e questa non si ottiene sicuramente con le imposizioni e neppure con i numerosi incentivi che oggi si stanno sperperando pur di avere i consensi desiderati.
E’ di questi giorni il decreto cancella-sanzioni, un magnifico colpo di spugna da 1 miliardo per la violazione del patto di stabilità del 2015, da parte di alcune città metropolitane. Brutta storia e sconcertante soluzione a un problema che vincola tutti i comuni d’Italia, che non premia la serietà, la virtuosità e la voglia di essere onesti ma che incoraggi invece il disinteresse, lo spreco e il disordine civico. Le misure funzionali al perseguimento di scopi di natura meramente finanziaria sono fallite. I decreti salva città metropolitane si fanno velocemente, cosa ben diversa se si tratta di salvare i piccoli comuni. E’ più facile cancellarli, buttandoli nell’area vasta, altro errore irreversibile.
Il tutto si accompagna a un’idea che prende il nome di area vasta che nell'ordinamento giuridico italiano indica il livello amministrativo intermedio tra i comuni e la regione.
Il concetto di area vasta è stato introdotto con la Legge 7 aprile 2014 n. 56. recante "Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni". Se con questa idea si voleva dare un segno di creatività e potenziare un rapporto migliorativo per un’efficace "rete di relazioni", nuovo modo di amministrare, la legge ha nuovamente sbagliato. Ma ha sbagliato perché cercando una nuova dimensione di programmazione, idea fissa il risparmio, oltre gli ambiti amministrativi tradizionali, consapevolmente ha intaccato uno degli elementi fondamentali del sistema, il gruppo di relazione, la persona, la comunità e l’identità.
Non c’era bisogno di appellarsi a un altro oggetto di relazioni esisteva già la Provincia Ente intermedio di notevole valore che interloquiva validamente con i comuni. L’impostazione e la lettura che sono state date all’argomento, infatti, rappresentano una visione miseramente monoculare che già trova evidenti negatività nelle città, e non può reggere a un confronto ragionato a lungo termine basato sulla realtà ambientale e geografica dei nostri territori.
La costruzione dell’area vasta, fra l’altro è una soluzione antidemocratica e prelude a un centralismo di potere politico pericoloso.
Purtroppo la conferma di tale previsione sta nei comportamenti di molti politici nostrani, dove in modo palese compare un obiettivo più che un progetto che ho già avuto occasione di comunicare a molti colleghi (vedi Legge 142/90, art. 26) affermando che l’unione è l’anticamera delle fusioni cooptate a loro volta nell’area vasta e… il bello viene dopo quando si passerà, da parte dello Stato, al rastrellamento degli avanzi di amministrazione.
C’è una linearità sorprendente nelle decisioni di costoro e una terribile, pericolosa maniacalità nelle loro affermazioni che inesorabilmente segue la china di un novello fondamentalismo.
A nessuno dei nostri rappresentanti è però venuto in mente che forse la semplificazione delle regole, dei comportamenti amministrativi e un maggiore impegno formativo nella specializzazione dei ruoli operativi poteva risolvere in modo più efficace molte situazioni comunali, riducendo i costi e migliorandone i servizi. Al contrario il processo di riforma attuato con la legge 56 si configura come un inutile aggravio strutturale, un marchingegno complesso, superato che oltre che appesantire e rendere inutile ogni azione strategica spinge verso un futuro incerto e mostra palesemente l’assenza assoluta di risparmio qualificandosi anzi come possibile anticamera di default. Ciò che alcuni vorrebbero per dimostrare l’inutilità dei piccoli comuni.
Infantile e irresponsabile. Che ci sia bisogno di un rafforzamento e un miglioramento del percorso fin qui attuato è innegabile, mi sembra però pericoloso e grave demolire quello che è manifestamente buono e che richiede solo aggiustamenti, adeguamenti funzionali e null’altro. Essere protagonista di una visione non significa essere gli unici a credere nel futuro.
Razionalizzare non significa certamente demolire. In questo caso, però, si rischia con l’acqua sporca di buttare via anche il bambino.
Grazie,
Mario Guasti - Sindaco di Manta














