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Economia | 10 gennaio 2019, 12:00

Il volto nascosto della moda fast fashion

Il grande successo di catene di negozi fast fashion, la moda pensata per un consumo e ricambio a ritmo accelerato, sembra non vivere battute d'arresto da quando, nel 2005, le limitazioni per import di indumenti dall'estero sono state drasticamente ridotte

Il volto nascosto della moda fast fashion

Il grande successo di catene di negozi fast fashion, la moda pensata per un consumo e ricambio a ritmo accelerato, sembra non vivere battute d'arresto da quando, nel 2005, le limitazioni per import di indumenti dall'estero sono state drasticamente ridotte.

In una recente pubblicazione della tedesca TradeMachines viene però analizzato un aspetto meno noto di questo modello di business: l'impatto ambientale della fast fashion.

L'analisi parte evidenziando come, negli ultimi venti anni, l'acquisto di indumenti si sia quintuplicato, nonostante un consumatore medio indossi solo il 20% del proprio guardaroba. Questo perché l'offerta di articoli è notevolmente aumentata con l'avvento della fast fashion, capace di presentare fino a 50 collezioni all'anno, contro le due tradizionali. L'impatto ambientale di questa iper-produzione è ben evidente già nelle fasi iniziali: il cotone necessita ben 20 mila litri d'acqua per chilo, mentre il poliestere (materia prima maggiormente impiegata) produce ogni anno gas serra pari a quelli di ben 185 centrali elettriche a carbone.

A questo va aggiunto l'impatto ambientale in fase di colorazione dei capi, con un ingente rilascio di sostanze tossiche nelle acque limitrofe. Solo il settore agricolo, con l'utilizzo di pesticidi, inquina più del settore tessile. L'eccessivo ricambio di indumenti va poi ad aumentare la mole di rifiuti. Solo il 15% dei capi dismessi evita di finire direttamente nelle discariche, andando in canali quali quelli della beneficenza, del mercato dell'usato o del riciclo.

Fortunatamente il report presente anche varie iniziative che promuovono un acquisto consapevole dei capi, addirittura con l'aiuto di app che valutano la sostenibilità ambientale degli articoli (è il caso di "Good on You"). Alcuni brand si sono associati per l'iniziativa "Detox" di Greenpeace, mentre associazioni quali Fair Wear Foundation appongono un marchio di garanzia ai marchi che virano verso la sostenibilità. L'appello, alla fine dello studio, viene fatto al singolo affinché, supportato da istituzioni ed organizzazioni private, opti per un consumo più in linea con l'ambiente ed orientato alla sostenibilità.

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