In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». (Lc 10,25-37)
Oggi, 10 luglio, la Chiesa giunge alla XV Domenica del Tempo ordinario (Anno C, colore liturgico verde). A commentare il Vangelo della Santa Messa è Enzo Bianchi, già priore del Monastero di Bose.
Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di Luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole ricche di fede per accendere le ragioni della speranza.
Eccolo, il commento. Stiamo sempre seguendo Gesù nella sua salita a Gerusalemme ed ecco un altro incontro: questa volta tra Gesù e un dottore della Legge. Questo esperto della Torà vuole metterlo alla prova. Gli pone quindi una domanda classica: “Che fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù gli risponde con una contro-domanda: “Che cosa sta scritto nella Legge?”.
L’esperto cita allora il grande comandamento attestato nel Deuteronomio, che ogni ebreo conosce a memoria e ripete tre volte al giorno, lo Shema‘ Jisra’el: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente”. Poi, con intelligenza spirituale, aggiunge il comandamento dell’amore del prossimo, estraendolo dal libro del Levitico. Gesù non può fare altro che approvare una tale interpretazione e invita quest’uomo a mettere in pratica quotidianamente quanto ha saputo affermare.
Ma quell’esperto, volendo giustificare la sua domanda iniziale, lo interroga di nuovo: “E chi è il mio prossimo?”. Ancora una volta Gesù non risponde direttamente, perché, se acconsentisse alla domanda del suo interlocutore, dovrebbe dare una definizione del prossimo e così situarsi all’interno della casistica degli scribi e dei farisei, ai quali il dottore della Legge appartiene. No, il prossimo non può essere rinchiuso in una definizione, perché in verità è colui che ognuno di noi decide di rendere prossimo avvicinandosi a lui. Ecco perché Gesù racconta una parabola.
Un uomo anonimo, del quale Gesù non precisa nulla – né nazionalità, né condizione sociale, né appartenenza religiosa –, mentre percorre la strada che da Gerusalemme scende a Gerico viene assalito da banditi che lo depredano, lo picchiano e lo lasciano mezzo morto sul ciglio della strada. Nulla di straordinario, ma un fatto che è quotidiano nelle nostre città, soprattutto dove i banditi borseggiano, strattonano, malmenano e finiscono per lasciare le persone aggredite a terra sulla strada…
Su questa strada – dice Gesù – passano un sacerdote e un levita, uomini ai quali è affidata la cura del tempio di Dio a Gerusalemme e che in Israele si vogliono esemplari per gli altri. Ebbene, questi due uomini religiosi, conoscitori della Legge, tesi a onorare la dimora di Dio, passando su quella strada vedono quell’uomo a terra, ferito e bisognoso, ma passano oltre, dall’altra parte.
Ciò che sorprende nel prosieguo della parabola è che al sacerdote e al levita, i tipici religiosi, Gesù oppone un samaritano, l’antitipo, cioè il perfetto contrario dei due osservanti e puri giudei. Anche il samaritano, passando su quella strada, vede, e per vedere bene si avvicina, si fa prossimo all’uomo ferito: allora, volto contro volto, il samaritano è commosso nelle viscere, sente salire dalle sue profondità un sentimento di compassione, di pietà.
La misericordia è questo sentimento viscerale, materno, che in realtà raduna tanti sentimenti e come una pulsione sale dalle nostre viscere, facendosi sentire come sofferenza, con-sofferenza con chi è nel bisogno. Dal sentimento nasce l’azione: il samaritano versa olio e vino sulle ferite, le fascia, poi carica quell’uomo sul suo giumento e lo conduce in una locanda, affidandolo al locandiere per le cure e la convalescenza.
Ecco allora emergere la verità: ci sono persone ritenute impure, non ortodosse nella fede, disprezzate, che sanno “fare misericordia”, sanno praticare un amore intelligente verso il prossimo. Non si devono appellare né alla Legge di Dio, né alla loro fede, né alla loro tradizione, ma semplicemente, in quanto “umani”, sanno vedere e riconoscere l’altro nel bisogno e dunque mettersi al servizio del suo bene, prendersi cura di lui, fargli il bene necessario. Questo è fare misericordia!
Al contrario, ci sono uomini e donne credenti e religiosi, i quali conoscono bene la Legge e sono zelanti nell’osservarla minuziosamente, che proprio perché guardano più allo “sta scritto”, a ciò che è tramandato, che non al vissuto, a quanto avviene loro nella vita e a chi hanno davanti, non riescono a osservare l’intenzione di Dio nel donare la Legge: e quest’unica intenzione, al servizio della quale la Legge si pone, è la carità verso gli altri!
Ma com’è possibile? Com’è possibile che proprio le persone religiose, che frequentano quotidianamente la chiesa, pregano e leggono la Bibbia, non solo omettano di fare il bene, ma addirittura non salutino i con-fratelli e le con-sorelle? È il mistero di iniquità operante anche nella comunità cristiana! Non ci si deve stupire, ma solo interrogare se stessi, chiedendosi se a volte non si sta più dalla parte del comportamento omissivo proprio di questi giusti incalliti, di questi legalisti e devoti che non vedono il prossimo, ma credono di vedere Dio, non amano il fratello che vedono, ma sono certi di amare il Dio che non vedono (cf. 1Gv 4,20).
Allora Gesù alla fine della parabola chiede all’esperto della Legge: “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei banditi?”. L’altro risponde: “Colui che ha fatto misericordia”. E Gesù dunque conclude: “Va’ e anche tu fa’ così”, cioè fa’ misericordia, ovvero guarda bene, con discernimento, avvicinati, fatti prossimo, senti una compassione viscerale e fa’ misericordia nel prenderti cura del bisognoso. Non esiste il prossimo: il prossimo è colui che io decido di rendere vicino.