Adolescenti, preadolescenti, cellulari e social.
Temi che sono tornati alla ribalta alla luce di un tragico fatto di cronaca accaduto a Perugia, dove una ragazzina di 13 anni si è tolta la vita lanciandosi dal balcone.
La causa scatenante sarebbe stata il sequestro temporaneo, da parte dei genitori, del telefono.
Il fatto è avvenuto a soli due giorni di distanza dalla Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, fissata al 10 settembre di ogni anno. Proprio la ricorrenza è stata occasione per tornare a parlare di ansia, depressione, autolesionismo tra i giovani, per i quali il suicidio, in Europa, è la seconda causa di morte dopo gli incidenti.
Quanto la tecnologia, i social, l'iperconnessione e la vita virtuale sono responsabili di questo disagio giovanile?
Un altro fatto di attualità ci ha portato a voler approfondire la questione. Ricordiamo che dall'anno scolastico 2024/2025, appena iniziato, i cellulari sono banditi dalle classi delle scuole dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, anche per le attività educative e didattiche.
Su questi temi abbiamo chiesto l'intervento di Vittorio Gonella, psicologo clinico e psicoterapeuta. Nella sua attività, che svolge in diverse zone della provincia di Cuneo, si occupa in particolare di bambini e adolescenti. E' membro della Società Italiana di Psicoanalisi e Psicoterapia - Sandor Ferenc.
Lo abbiamo intervistato, con la finalità di dare soprattutto a genitori ed educatori degli strumenti di riflessione e, perché no, di revisione dei propri comportamenti rispetto al mondo degli adolescenti.
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Dottor Gonella, qual è l'età corretta per dotare i ragazzi di questo strumento, tenendo conto che ormai anche la didattica viaggia lì sopra? Si parla dei 12 anni, ma c'è chi lo dà molto prima, riuscendo forse a gestire meglio quel desiderio di indipendenza che molti ragazzini associano proprio a quel possesso...
Non ho una risposta a questa domanda, perché penso che, innanzitutto, dovremmo prenderci del tempo per chiederci “Perché vuole il cellulare?”
La sua domanda offre un’ipotesi, a volte presente: l’indipendenza; ma non credo che questa lettura esaurisca l’insieme di possibili motivazioni e significati che danno vita a quella richiesta. Possono esserci più significati nella richiesta di un singolo adolescente e, soprattutto, possono esserci motivazioni diverse tra l’uno e l’altro. Dovendo provare a riassumere il mio pensiero, rischiando però di semplificare in modo un po' maldestro, direi che l’oggetto cellulare può avere su di sé un insieme di significati che oscillano tra il bisogno di isolamento e fuga da una realtà mentale e di vita sentita come troppo faticosa e difficile da affrontare e, al contrario, il desiderio di entrare e restare in contatto con questo mondo, di cui la realtà digitale è una parte importante e vitale che può aiutare a stare in relazione e incontrare gli altri e il mondo.
Si occupa di ragazzi ed età evolutiva... ma sono così diversi i ragazzi di oggi rispetto agli adolescenti di ieri? Non è sempre stata una prerogativa dell'età la fragilità, lo smarrimento e anche, purtroppo, le istanze suicidarie?
L’adolescenza è un percorso faticoso in cui ognuno di noi deve riuscire a costruire la propria identità; questo lavoro non è fatto esclusivamente nella mente e nel corpo ma è strettamente connesso a fattori ‘ambientali’, intesi come famiglia, società, mondo.
Credo, ad esempio, che non possiamo ignorare l’impatto della globalizzazione e del flusso di informazioni sui giovani: crescere oggi non può essere paragonato a crescere prima di Intenet o nel dopoguerra: in passato la realtà era limitata alla cultura famigliare e locale; oggi, anche grazie a Intenet, la cultura con cui i giovani si possono confrontare è globale, offrendo molte più opportunità per ampliare la conoscenza di Sé, dei propri desideri, delle proprie fatiche e della propria personalità. Tutto questo, ovviamente, implica un livello di complessità e, di conseguenza, di dubbi e confusione più elevato che in passato, che non ci deve spaventare ma che dobbiamo pensare come un’opportunità per chi sta crescendo.
Aggiungo alcune caratteristiche della realtà odierna che la differenziano dalla società del passato: la realtà attuale, anche grazie a Internet, ha amplificato, rispetto al passato, il significato e il valore che assumono il corpo e l’immagine estetica, temi centrali nella costruzione identitaria dell’adolescenza.
Le strutture famigliari sono molto più variabili che in passato (ad esempio: monoparentali, allargate, ricomposte) con la conseguente moltiplicazione dei referenti genitoriali e adulti e il concomitante rischio di una riduzione del loro potere identificatorio, utile ai giovani nella loro creazione identitaria, nella quale normalmente trova spazio l’esempio e il ‘modello’ offerto dall’adulto.
La società odierna tende a essere più narcisistica non solo nel suo dare maggior valore all’autosufficienza e al raggiungimento del successo ma anche nella richiesta di conformarsi a un ideale (“sempre giovani, belli ed efficienti”) di cui vengono, purtroppo, molto presto investite le nuove generazioni.
Tutto questo per dire che faremmo un favore ai nostri figli se eliminassimo dalla nostra mente l’incipit: “Ai miei tempi…” con cui tendiamo a idealizzare il passato a discapito del mondo a cui si affacciano, che viene semplificato e svalutato.
Pensa che sia utile e comunque educativo punire un ragazzo togliendogli il telefono? Non vuol dire caricare di troppo peso o valore quello strumento?
Questa domanda mi fa venire in mente una striscia dei Peanuts, lo straordinario fumetto creato negli anni Cinquanta da Charles Schulz, illuminante per comprendere molte dinamiche del mondo infantile e adolescente: nella prima vignetta Charlie Brown bambino è solo e dice: “Che solitudine in questa casa…”. Nella seconda cammina per la casa da solo e poi nella terza immagine prende in mano il telefono e chiama un centralino. Nell’ultima vignetta lo si vede al telefono chiedere: “Mi racconterebbe una storia?”
Credo che la sua domanda mi abbia fatto venire in mente questa vignetta perché, nonostante fossimo negli anni Cinquanta e il telefono fosse con cornetta e filo, rappresenta in modo incredibile il significato che il cellulare può assumere: colmare un vuoto, un’assenza di relazione, di dialogo, di stare insieme; Charlie Brown chiama il centralino per lo stesso motivo per cui un giovane di oggi potrebbe scrivere su Whatsapp, girare sui social, giocare online con gli amici.
Riprendendo i pensieri in risposta alla prima domanda, penso che sia necessario aver compreso e conoscere bene i significati e il valore che il cellulare ha per una persona, anche per capire se, riprendendo la sua domanda, sia qualcosa che ha ‘troppo peso’ o meno.
Non sono d’accordo con chi vede nel cellulare la causa unica della riduzione del dialogo tra genitori e figli: a volte è l’opposto, è proprio la mancanza di dialogo che rende il cellulare così onnipresente.
Qual è un consiglio/indicazione che si sentirebbe di dare ai genitori di ragazzini che stanno per avere il cellulare? E quanto l'esempio dei genitori stessi può influenzare il rapporto tra il minore e la tecnologia?
Ritengo, riprendendo il pensiero dello psicoanalista romano Daniele Biondo che da anni si occupa del mondo digitale e del dolore evolutivo, che l’adolescente abbia bisogno di qualcuno, penso in particolare ai genitori ma a tutto il mondo adulto, che lo aiuti a dare significato all’uso che fa della tecnologia, che rischia a volte di diventare una sorta di ‘antidolorifico’ che crea dipendenza e distanza dal mondo ma che può essere anche uno strumento che aiuta a stare con gli altri, a rimanere in contatto.
Credo che questo aspetto faccia tutta la differenza del mondo: quando nella mia pratica clinica incontro genitori preoccupati per il cellulare chiedo sempre: “Che cosa fa vostro figlio col cellulare?” A volte ricevo risposte banalizzanti e un po' ‘demonizzanti’ (“Le solite stupidate che fanno tutti…”, “Perde tempo a guardare cavolate…”) ma spesso sento un onesto “Non lo sappiamo…”.
Io credo che queste risposte ci segnalano che qualcosa non stava già funzionando nella relazione tra genitori e figlio, qualcosa che non è stato causato dal cellulare ma che ha reso il cellulare una sorta di muro che impedisce il dialogo e, appunto, quel lavoro di ‘significazione’ che un giovane adolescente sta facendo e che necessita della presenza e del dialogo con le figure adulte.
Per quanto riguarda l’esempio, le rispondo con un ricordo personale: qualche tempo fa ero in una pizzeria e nel tavolo accanto si era accomodato un gruppo di tredicenni per festeggiare un compleanno; avevano subito tirato fuori i cellulari e cominciato a mandare foto a chi non c’era, scrivevano messaggi insieme, ridevano, scherzavano, guardavano insieme i vari schermi, dandomi l’impressione di essere un bel gruppo vitale e coinvolgente. Dopo un po', in un altro tavolo, si sono sedute due coppie di quarantenni: quando il cameriere è venuto a prendere l’ordine nessuno aveva ancora deciso perché da una decina di minuti erano in silenzio, ognuno con la testa sul proprio cellulare, ipnotizzato dal proprio schermo. Credo di averle risposto…