Cinquecento anni fa, i Pico della Mirandola arrivarono a Roddi acquistando castello e feudo, e intrecciando per tre secoli la propria storia a quella del borgo langarolo. Domenica 8 giugno, quella svolta verrà celebrata con una giornata tra rievocazioni, momenti istituzionali e un incontro pubblico che riporterà al centro le vicende del Rinascimento.

Tra i protagonisti della giornata ci sarà Riccardo Corino, presidente del Centro Studi Beppe Fenoglio di Alba e autore, insieme allo storico Baldassarre Molino, del volume Roddi. Storia di una comunità dalle origini al Settecento, pubblicato nel 2020. A partire da quella ricerca, Corino ricostruirà il contesto storico e familiare dell’arrivo dei Pico in Langa. Gli abbiamo rivolto alcune domande per riportare alla luce un’epoca di guerre, potere e strategie dinastiche.
Entriamo nel vivo: nel 1525 il castello e il feudo di Roddi passarono a una delle famiglie più celebri del Rinascimento italiano, i Pico della Mirandola.
"Quella dei Pico fu una famiglia di antiche tradizioni e grandi ambizioni nobiliari, imparentata con gli Sforza e i Gonzaga. Per diversi secoli governarono, più come signori che semplici vassalli, il territorio modenese di Mirandola e Concordia e alla fine del Cinquecento ai Pico venne riconosciuto il titolo principesco. Può sembrare curiosa una scelta periferica come Roddi per una famiglia così blasonata, ma furono vicende storiche e fondate ragioni familiari a determinarla".
Una famiglia ancora oggi celebre per la figura di Giovanni Pico della Mirandola, umanista e filosofo dalla poderosa memoria.
"Il richiamo alla figura dell’esponente più conosciuto della casata ci consente di inquadrare il periodo storico: siamo nel Rinascimento, l’Italia è il centro culturale europeo, le corti nobiliari alimentano il rinnovamento artistico e letterario sostenendo illustri personaggi. Qualche nome? Leonardo Da Vinci, Michelangelo, Brunelleschi e appunto Giovanni Pico della Mirandola, che dopo gli studi a Bologna si distingue a Firenze, Roma e Parigi per la sua ampia cultura umanistica".
Il Cinquecento è un periodo di grande fermento culturale e artistico, costellato da guerre infinite tra le grandi potenze europee.
"In quegli anni Francia e Spagna si contendono la supremazia sull’Italia. Carlo V, re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero, intende rafforzare la presenza tra Milano e il Monferrato per garantire continuità ai suoi vasti territori che si estendono dalla Spagna all’Austria, dai regni di Napoli e Sicilia fino alla Borgogna e alle Fiandre. Tenta di contrastare questo progetto il re di Francia, Francesco I, determinato a rompere in ogni modo la morsa spagnola che si sta stringendo attorno al suo regno".
Le due potenze europee si affrontano per anni sul nostro territorio.
"Langhe e Monferrato sono sulla rotta contesa. Per decenni il nostro territorio è scosso dalle scorribande dei due eserciti, rafforzati da mercenari di diverse nazionalità, tra questi i famigerati lanzichenecchi che combattono a fianco degli spagnoli. Particolarmente cruenta, e decisiva per le future sorti della guerra, fu la battaglia di Pavia: nel febbraio 1525 Francesco I scese in Italia per riprendersi il Ducato di Milano, ma ebbe la peggio contro l’esercito imperiale di Carlo V. La disfatta dei francesi fu totale: Francesco I, ferito in battaglia, venne catturato e portato prigioniero in Spagna, dove firmò la pace di Madrid e si impegnò a rinunciare ai suoi diritti su Milano e, più in generale, sul territorio italiano".
Quali furono le conseguenze per la nostra storia locale?
"Con la vittoria di Carlo V a Pavia, alle casate nobiliari in precedenza alleate con i francesi venne richiesto il versamento di ingenti risarcimenti a favore dell’esercito spagnolo. È il caso del Marchesato del Monferrato, al tempo retto da Anna d’Alençon, nobile di origini francesi e vedova di Guglielmo IX, che per far fronte alle esose richieste fu costretta ad alienare molti possedimenti, tra questi il castello e il feudo di Roddi".
Ad acquistarlo fu un’altra donna, Giovanna Carafa, signora consorte di Mirandola e contessa della Concordia.
"Giovanna Carafa, figlia del conte di Maddaloni, sposò nel 1491 Giovanni Francesco Pico della Mirandola portando in dote un’ingente somma che il marito utilizzò per acquisire da altri familiari una quota del feudo di Mirandola, generando il risentimento dei cugini ed alimentando la conflittualità da sempre presente all’interno della famiglia. Nel 1525 Giovanna Carafa, con altre risorse a sua personale disposizione, acquistò per seimila Scudi d’oro del Sole '…castrum et locum Roddi sitos ultra Tanarum in dioecesi Albensi…' dando inizio alla presenza dei Pico nel nostro paese".
Due donne si incontrano, cinquecento anni fa, per stipulare un atto di compravendita con la finalità di tutelare le sorti delle loro famiglie.
"L’atto di acquisto venne sottoscritto dalle due nobili signore nel castello di Casale Monferrato. La cedente, Anna d’Alençon, tenne a precisare che la vendita avveniva perché obbligata da '…ingentes et maximas necessitates…' nei confronti dell’esercito spagnolo. Giovanna Carafa avvertiva già allora l’esigenza di creare alla propria famiglia un’alternativa a Mirandola, dove si stavano aggravando le dispute interne. Per questo dichiarò che aveva provveduto all’acquisto con denaro proprio, con rinuncia da parte del marito ad ogni diritto futuro sul castello e sul feudo di Roddi".
Due figure già molto accorte nell’amministrazione dei loro patrimoni.
"Erano signore di alto lignaggio nobiliare, che seppero destreggiarsi nelle complesse vicende familiari e politiche del tempo. La clausola inserita da Anna d’Alençon giustificava davanti al Senato monferrino la necessità di cedere alcuni beni del defunto marito e destinati per testamento al figlio minorenne Bonifacio IV, del quale lei era tutrice. Per quanto riguarda Giovanna Carafa, l’indicazione che l’acquisto avveniva con fondi propri, e non del marito Pico, era finalizzata a prevenire il rischio di successive confische da parte dei rissosi parenti di Mirandola".
Le tutele si rivelarono utili?
"Nel caso di Giovanna Carafa, le clausole di tutela furono utili e salvifiche per la contessa e la sua diretta discendenza. Nel 1533 le tensioni tra i vari rami della famiglia Pico sfociarono nell’assassinio di Giovanni Francesco e del figlio minore per mano del cugino Galeotto. Giovanna Carafa venne imprigionata e privata di tutti gli averi legati al casato. Venne poi estromessa da Mirandola e trovò quindi asilo a Roddi, sua proprietà esclusiva al riparo dalle pretese dei parenti del marito".
Quali furono i rapporti tra la famiglia Pico della Mirandola e la comunità roddese?
"Buoni e corretti. Agli uomini di Roddi, come d’uso, venne richiesto di giurare fedeltà a Giovanna Carafa e poi all’erede Paolo Pico. Nuovi Statuti Comunali '…emendati e purgati da molti errori…' furono promulgati nel 1585 dalla contessa Eleonora Pico della Mirandola".
Abbiamo datato l’arrivo dei Pico della Mirandola al 1525. Come continua la loro presenza a Roddi?
"Alla morte della contessa Giovanna Carafa il feudo passò al figlio Paolo Pico della Mirandola. Sotto il governo del conte Paolo e in collaborazione con la comunità venne edificata la camera nova. Paolo ebbe due figlie femmine, e anche in questa occorrenza si rivelò utile la cautela adottata dalla contessa Giovanna all’acquisto del castello: la facoltà di successione per via femminile, clausola per nulla scontata all’epoca, consentì il passaggio del feudo alla figlia di Paolo, Eleonora".
Molte figure femminili caratterizzano la storia del paese.
"Per tre secoli la storia di Roddi è caratterizzata dalla presenza di figure femminili in ruoli rilevanti. Con il matrimonio di Eleonora, la signoria di Roddi si trasferì alla famiglia Andreasi e poi, sempre per via femminile, ai Tizzone di Desana e per ultimo ai Della Chiesa, che lo cedettero a re Carlo Alberto nel 1836".
Nell’Ottocento troviamo a Roddi anche i Savoia?
"Carlo Alberto era molto interessato e attratto dal nostro territorio: negli stessi anni aveva acquistato il castello di Verduno e la tenuta di Pollenzo, ma i Savoia non realizzarono l’ambizioso progetto di ammodernare il castello per adattarlo a residenza. Così oggi il nostro castello conserva integri tutti gli elementi architettonici che si sono sovrapposti nel tempo, a testimonianza della storia millenaria di Roddi”.














