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Agricoltura | 16 giugno 2011, 15:23

Per combattere il batterio del kiwi non servono solo i soldi, occorre programmazione

Ontervento del segretario provinciale PD Emanuele di Caro dopo le misure adottate in materia dalla Regione

Emanuele di Caro

Emanuele di Caro

Riceviamo e pubblichiamo

Il batterio Pseudomonas Syringae sv. Actinidiae è un parassita che aggredisce le piante che danno i frutti commercialmente noti come kiwi. La malattia è globale (colpisce anche in N.Zelanda e Cile), aggressiva (porta alla morte piante e frutteti), molto contagiosa e già presente in Piemonte. Il maggior distretto produttivo di kiwi in Piemonte è il Saluzzese, con poco meno di 6mila ettari dedicati e circa 85mila tonnellate anno prodotte. Per contrastare la malattia, l'assessore regionale Sacchetto ha emanato provvedimenti che vietano i nuovi impianti di actinidia (mentre i centri di ricerca lavorano su una cura), impongono di espiantare piante e frutteti malati e assicurano un ristoro economico a chi è costretto ad espiantare il frutteto: 10mila euro ad ettaro.

Questo significa che, se 1000 ettari di actinidia dovessero essere espiantati (e la previsione non appare irrealistica) all'Assessore serviranno 10 milioni di euro, che, alla luce del suo bilancio in continua contrazione, l'assessorato regionale avrà difficoltà a garantire. Ma quello della copertura finanziaria non è il solo problema né il maggiore. Infatti, la crisi del kiwi si scaricherà su tutto il comparto frutticolo. I produttori agricoli, che in molti casi hanno speso somme prossime a 100 mila euro per acquistare un ettaro di terra destinato alla produzione di kiwi, non possono permettersi di lasciarlo incolto o tenerlo a prato stabile.

Si volgeranno quindi ad altre colture frutticole, per recuperare l'investimento e utilizzare le strutture realizzate: palificazione e irrigazione su tutte. Ma quale scelta adotteranno? Su questo tema la Regione tace, ma è su questo aspetto che, con il proprio comparto tecnico, le proprie strutture e le proprie partnership, dovrebbe intervenire in modo incisivo, per evitare che al danno si aggiunga danno. Se tutti coloro che subiranno l'espianto delle actinidie si volgeranno alla coltivazione di pesche o mele, cosa accadrà ai mercati di questi generi già fortemente soggetti a fluttuazioni di prezzo drammatiche?  

Sarebbe fortemente auspicabile che la Regione indirizzasse i produttori che debbono sostituire le actinidie verso le produzioni oggi più scarse e quindi più remunerative, attraverso due leve: 1) contributo all'espianto diverso a seconda che si proponga una sostituzione delle actinidie con una specie frutticola diversa: esemplificando, più soldi se si passa ad albicocche o ciliegie o pere, meno se si passa a pesche e mele; 2) formazione gratuita per gli operatori che si impegnino a piantare specie frutticole oggi scarse con tutorial, visite guidate, trainer in fase di potatura e trattamenti antiparassitari.  

Solo così, invece di un pesce piccolo e nemmeno del tutto certo oggi, ci sarebbe una canna da pesca nelle mani dei frutticoltori cuneesi.  

Emanuele Di Caro Segretario Provinciale PD  

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