L’85% degli adolescenti fa uso, abitualmente, di alcool. Lo dice l’indagine «Ceis-Don Picchi» i cui risultati sono stati diffusi l’altro giorno. Un problema che riguarda le aree metropolitane, ma anche città a paesi di provincia.
L’Acat (associazione club alcologici territoriali) cuneese ha organizzato, l’altra sera, un confronto a 360 gradi con genitori, insegnanti e parrocchie. L’ha intitolato, provocatoriamente, «Fino all’ultima goccia. È tuo figlio?», mettendo in evidenza due tendenze: quella di molte famiglie, spesso perbene, di negare il problema e quella della moda dilagante tra i giovani di bere fino a star male. «Il 10,9% degli adolescenti tra gli 11 e i 13 anni si è ubriacato almeno una volta - ha sottolineato Laura Testa dell’Acat di Cuneo –un dato che ci deve porre delle domande».
«L’alcol è subdolo anche perché la cultura del bere, soprattutto in zone come il Piemonte, è radicata – ha spiegato Chiara Bianco, neurologa -.Nessuno conosce il limite: dall’assunzione occasionale alla ricerca spasmodica è un attimo. Solo il 20% dei ragazzi under 15 si dichiara astemio. In famiglia si beve per una ricorrenza, fuori per moda e perché si crede di essere più performanti. E i danni sono multiorgani».
«Un giovane deve prima essere amato, poi capito e solo a questo punto aiutato – ha detto Alessandro Tonietta, esperto di disagi giovanili -. La società crea bisogni per motivi economici. Il ragazzo o la ragazza (dato il “primato” sempre più femminile per la destrutturazione dei ruoli) che beve non è più il figlio di famiglie degradate, come nello stereotipo comune, ma spesso arriva da famiglie “bene”. Giovani che colmano con l’alcol il vuoto che hanno dentro».
L’iniziativa promossa dall’Acat, con il sostegno del CSV di Cuneo, proseguirà con incontri rivolti agli studenti.