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Saluzzese | 12 luglio 2015, 08:00

Saluzzo: la “Comunità Cenacolo”, luogo di fede e risposta della tenerezza di Dio Padre a quell’urlo disperato dei giovani

La fondò, nel 1983, Suor Elvira, 77 anni, quasi 40 dei quali spesi in favore di giovani che hanno sperimentato droga, alcool, disagi, insicurezze. Nel prossimo fine settimana la festa sulla collina saluzzese

Suor Elvira

Suor Elvira

Quando si entra in una delle fraternità della “Comunità Cenacolo” la sensazione che si prova è quella di una sana e gioiosa accoglienza. Sui volti dei ragazzi e delle ragazze che vivono in comunità non c’è più alcun segno del loro passato tormentato e difficile, ma solo una grande luce di risurrezione. Nella loro vita hanno sperimentato droga, alcool, disagi, insicurezze, o anche una profonda sete di Dio, di verità, di un senso della vita più autentico. Hanno cercato di colmare il vuoto che avevano dentro percorrendo strade sbagliate, sono caduti. Ma poi si sono rialzati afferrando la mano tesa del Cenacolo, una realtà nata trent’anni fa in una casa diroccata di Saluzzo, grazie alla tenacia ma, soprattutto, alla grande fede di una suora semplice e umile: Elvira.

Rita Agnese, vero nome di madre Elvira, proviene da una famiglia povera, emigrata da Sora (Frosinone) ad Alessandria durante la seconda guerra mondiale. Fin da piccola ha indossato gli abiti della “serva di tutti” aiutando la madre ad accudire i numerosi figli e accogliendo con amorevolezza le fragilità del padre, spesso ubriaco e senza lavoro.

Conosciuta da tutti come la suora dei drogati, nasce a Sora il 21 gennaio 1937. Durante la seconda guerra mondiale, insieme alla sua povera famiglia, emigra ad Alessandria, dove vive i disagi e la miseria del dopoguerra, sperimentando in casa “il privilegio di regnare” nel servire gli altri, come racconta nel volume “L’abbraccio” (Edizioni San Paolo). Ricorda infatti con gratitudine quella scuola al sacrificio appresa in famiglia, con altri sette fratelli, quando ci si alzava da tavola sempre con i morsi della fame: “Che bella la povertà”, scrive, perché “la povertà è libertà! Ci siamo noi prima delle cose, prima della ricchezza, prima delle ambizioni”. Una sofferenza appresa in famiglia anche a causa del papà dedito all'alcolismo, che è stato “la mia università per imparare ad amare e a servire tutti con dignità”.

A 19 anni capisce che un amore in esclusiva per un ragazzo era un abito troppo stretto: la sua vocazione era condividere la tenerezza dell'altro Sposo che bussava alla porta del suo cuore, e che l'aveva “amata, seguita, 'coltivata' sin da bambina”. Lascia il fidanzato e la propria famiglia, sale su treno che la porta a Borgaro Torinese, presso le Suore della carità di Santa Giovanna Antida  Thouret, dove diventa suor Elvira. Fino ai 46 anni è una suora “normale” e una maestra d’asilo. Nel 1983 fonda la comunità “Cenacolo” in una ex villa settecentesca sulla collina sopra Saluzzo, a cui in seguito si sono affiancate in tutto 56 case sparse in Italia e nel mondo. All'inizio pensava di creare una comunità per giovani persi nella noia, nell'insicurezza, dalle vite sfilacciate, senza capo né coda.

La vita consacrata procede serenamente fino a quando nasce in lei un forte desiderio di impegnarsi per i giovani. Che lei racconta così: “Lo gridavano così forte, a me sembrava che lo urlassero con la droga, addormentandosi, disperandosi, lasciandosi morire giorno dopo giorno. Volevano sapere se l’amore esiste, se la speranza c’è, se è possibile vivere la pace dentro di noi, più che fuori, se la loro storia potesse essere rifatta”. 

I primi entusiasmi di suor Elvira vengono frenati dalla sua Comunità religiosa che la vede troppo inesperta per affrontare quella missione, ma poiché quel fuoco non si spegne, dopo una lunga attesa, le viene dato il   permesso di intraprendere questo nuovo cammino. Il 16 luglio 1983, in una casa abbandonata sulla collina di Saluzzo, in provincia di Cuneo, suor Elvira fonda la Comunità Cenacolo: non solo un’opera sociale o assistenziale, bensì un luogo di fede e una risposta della tenerezza di Dio Padre a quell’urlo disperato dei giovani. Inizia a mani vuote, senza sicurezze materiali ma con un’unica grande certezza: la fedeltà di Dio Padre. Subito cominciano a bussare alla porta del Cenacolo giovani smarriti, soli, disperati, drogati, che chiedono un luogo e un aiuto per rinascere. Con loro arrivano anche i primi aiuti concreti della Provvidenza: cibo, attrezzi da  lavoro, amici disponibili a collaborare. È il segno che “Dio provvede, che Lui è con noi!”. Quei giovani sono impauriti e chiusi, proprio come Maria e gli apostoli dopo la morte di Gesù riuniti nel Cenacolo: da qui il nome scelto per la Comunità, presto sarebbero diventati testimoni di risurrezione.

Negli anni si sono uniti a madre Elvira volontari, famiglie, fratelli e sorelle che sentono la chiamata di Dio a dedicare la loro vita alle opere della comunità, ma soprattutto i giovani stessi che, rinati a vita nuova, tendono la mano ad altri che sono in difficoltà. Si è spalancato così, pian piano, un orizzonte missionario inatteso e mai programmato. Il piccolo seme nato a Saluzzo negli anni è cresciuto e si è moltiplicato: una storia straordinaria che continua ancora oggi. Il primo riconoscimento ecclesiale, a livello diocesano, è avvenuto nella Pentecoste del 1998. Poi, in seguito agli sviluppi internazionali dell’opera, nel luglio 2009 la Comunità è stata riconosciuta dal Pontificio Consiglio peri Laici come Associazione privata internazionale di fedeli di diritto pontificio.
La proposta della comunità è la vita cristiana vissuta in modo semplice e familiare:  la riscoperta della forza della preghiera, il lavoro vissuto come dono, l’amicizia vera, il sacrificio, la gioia di servire. Le fraternità della Comunità accolgono gratuitamente migliaia di bisognosi, in particolare giovani e bambini di strada. All’interno di tale realtà, è sorta anche la famiglia religiosa femminile delle Suore Missionarie della Risurrezione.

Madre Elvira oggi vive presso la Casa madre della Comunità Cenacolo, a Saluzzo, ed è la figura di riferimento dell’intera opera. In modo particolare, negli ultimi anni, si dedica più intensamente alla preghiera, alla formazione delle giovani suore e a visitare le varie fraternità esistenti. Il sorriso è sempre stata la sua “arma” preferita.

Ma oggi, in un momento in cui la parola le è diventata faticosa, è più intenso che mai. Lei stessa si sorprende, ogni giorno, di questa bella storia iniziata trent’anni fa: “Dio mi ha dato la pazienza di seguire quello che mi indicava, giorno per giorno, e pian piano l’orizzonte si è aperto e ha accolto, con le braccia spalancate che desiderano abbracciare il mondo intero, tanti e tanti giovani bisognosi di amore. Ormai queste braccia non sono solo più le mie. Ci sono ora insieme a me quelle di tanti giovani che, dopo aver ricevuto l’amore di Dio, hanno deciso di fidarsi di Lui donando a chi è nel bisogno quell’amore che, gratuitamente, hanno ricevuto”.

Sono una donna appassionata: dalla scopa alle pentole, dal fratello povero alla cappella. Sono una donna di strada non da tavolino” che non ha mai pensato “di imparare a leggere e a studiare per poter insegnare all'altro, per 'fare' la carità. La carità è la mia vita, è il dono di me stessa, il dono della mia gioia per un sì a Dio sempre più vero e appassionato”.

S.O.

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