Se la poesia nella lingua della minoranza linguistica occitana in Italia ha conosciuto, a partire dalla rinascita identitaria degli anni '60 del secolo scorso, alcuni importanti nomi (si pensi al grande poeta Antonio Bodrero) e tanti autori estemporanei, il panorama della prosa in lingua occitana è piuttosto povero, e si limita ad alcuni testi teatrali di Sergio Arneodo e a un paio di romanzi. È in questo contesto che si inseriscono le opere teatrali di Diego Anghilante, scrittore e documentarista di Sampeyre (valle Varaita) e direttore dal 1997 di Ousitanio Vivo, storico mensile delle Valli Occitane.
La tragedia “Bastian Nevacho”, pubblicata nel 2012, è stata messa in scena per la prima volta nel 2019 dal Teatre de la fiour (Teatro del fiore), una piccola compagnia di attori dilettanti delle valli Stura, Grana e Varaita, e ha conosciuta una fortunata stagione di rappresentazioni attraverso quasi tutte le valli di lingua occitana. Ora è fresco di stampa, per i tipi dell'Araba Fenice di Cuneo (2022, pagg. 176, euro 14), il dramma “AbeioAbeio” (ApeApe), il cui curioso sottotitolo è “neoruralismo e follia”. Anghilante infatti prende spunto dal fenomeno – vero o presunto, o semplicemente propagandato - del ritorno dei giovani alla montagna e alla vita rurale per raccontare l'infelice storia di Louren (Lorenzo), un giovane di Torino che abbandona la condizione di “sdraiato” universitario per tornare a vivere a Saouzo, il paese immaginario da cui erano emigrati i suoi genitori e in cui già era ambientato, ma negli anni '70, il “Bastian Nevacho”.
Louren sceglie il nobile mestiere dell'’apicultore, ma l’ostilità o l’indifferenza dei pochi abitanti rimasti nel paese, le difficoltà lavorative e soprattutto la solitudine lo fanno progressivamente scivolare verso una condizione di follia, “dove il confine tra realtà diurna e vita onirica – scrive l'autore nella postfazione - tra praxis e delirio, tra esistenza vera e cartoni animati si fa incerto, labile” (pag. 168). Anche Sergio Berardo, noto leader dei Lou Dalfin, osserva nella sua ampia prefazione Louren “risucchiato lentamente non dai vortici di un torrente in piena, ma dal gorgo di un lavandino domestico, con l'acqua sporca dei piatti accumulati, verso un orizzonte nei tubi, scuro e difficile” (pag. 10).
Interessante infine la lingua occitana usata da Diego Anghilante in queste opere, che non fa riferimento alla variante del suo paese ma propone una koinè tra le parlate delle valli centrali (Stura, Grana, Maira e Varaita), nel tentativo di andare oltre la riproposizione puramente localistica e di costruire un lessico letterario che faccia da ponte tra la tradizione orale del passato e una produzione scritta del futuro.
La lettura del dramma risulta comunque agevole, grazie alle traduzioni italiane in nota, anche per chi non conosce bene l'occitano, e scorre via tra momenti di intensa visionarietà e situazioni facete e grottesche, in un sapiente alternarsi del registro tragico e di quello comico. Non resta dunque che augurarsi di vedere presto l'allestimento scenico di “AbeioAbeio”.












