Un equilibrio difficile quello che le Langhe sono chiamate a cercare nell’immaginare il proprio futuro, combattute tra le esigenze dell’agricoltura di eccellenza fiorita tra i suoi vigneti, quelle di un turismo che ne ha fatto una meta di rilievo internazionale e il rischio di perdere però la propria natura più autentica: le sue tradizioni contadine e, con quelle, il profumo del tartufo, prezioso frutto della terra sempre più raro, la cui mancanza inizia a preoccupare seriamente, spia di un clima che cambia ma anche della scarsa attenzione all’esigenza di mantenere un corretto rapporto tra un ambiente fragile e la presenza dell’uomo.
Se nel mondo dell’enologia fa così discutere la denuncia lanciata recentemente dal fondatore di Slow Food Carlo Petrini, che mette in guardia sul rischio collegato alle speculazioni in ambito vinicolo, il tema del delicato presente e incerto futuro del Tuber Magnatum Pico è tra gli elementi simbolicamente richiamati dalla vicenda narrata in "Trifole - Le radici dimenticate", pellicola che, uscita nelle sale lo scorso 17 ottobre, ha avuto anche il merito di portare la bellezza delle suggestive ambientazioni di Langhe, Roero e Monferrato sugli schermi dei cinema italiani.
Secondo il portale specializzato "MyMovies" (leggi qui https://www.mymovies.it/film/2024/trifole-le-radici-dimenticate/) il film diretto dal giovane regista Gabriele Fabbro, interpretato da Ydalie Turk, Umberto Orsini, Margherita Buy, Enzo Iacchetti e Frances Sholto-Douglas (nella foto sotto regista e cast al castello di Grinzane), e distribuito da Officine Ubu, nelle sue prime tre settimane di programmazione ha raggiunto circa 300 sale e incassato 94mila euro.
Numeri che confermano l’interesse che l’uscita del lungometraggio aveva suscitato ad Alba, dove la pellicola era ovviamente molto attesa da quanti operano o sono comunque legati all’ambiente del diamante grigio, della sua filiera e promozione. Tra questi l’avvocato Roberto Ponzio, fondatore di quel "Museo del Tartufo-Galleria dei Ricordi" che in via Vittorio Emanuele II ad Alba ricorda la figura del padre, di lui omonimo, commerciante entrato nella storia recente di Alba con l’appellativo di "re dei tartufi". Un titolo che si era guadagnato sul campo come alfiere e pioniere della promozione internazionale delle Langhe e delle sue prelibatezze, mentre fu pure antesignano di un ambientalismo i cui messaggi paiono oggi di particolare attualità (nella foto sotto l'avvocato Roberto Ponzio con Anna Marchesi, direttrice del museo).
"Del film mi hanno profondamente colpito due scene e il messaggio che vuole lasciare – spiega oggi il legale –. La prima è all’inizio. La nipote, arrivata da Londra, ammira il paesaggio e lo descrive come 'bellissimo'. Il nonno, mirabilmente interpretato da Umberto Orsini, la riprende e disapprova, rimpiangendo un tempo passato nel quale queste campagne erano ricche di alberi e boschi, mentre ora sono ricoperte soltanto da vigneti. La natura non è solo paesaggio e mi si è accapponata la pelle immediatamente collegando questa riflessione al tempo in cui, e correvano gli Anni Sessanta, mio padre Roberto Ponzio ammoniva contro lo sfruttamento intensivo della terra, peraltro effettuato con ampio ricorso ad anticrittogamici e prodotti della chimica di sintesi".
"Quella predica fu inutile e impopolare – prosegue Roberto Ponzio –, tanto che nel 2015 fui indotto a fondare un museo che sul frontespizio recita l’adagio tanto caro a mio padre: 'no alberi, no tartufi'. Come dovrebbe essere noto a tutti, infatti, in natura possono esistere alberi senza tartufo, ma mai un tartufo senza un albero. E' una banalità su cui sarebbe però bene riflettere. Se la produzione del Tartufo Bianco d’Alba oggi è così scarsa, per non dire di quantità insignificante, questa è anche la conseguenza di politiche sbagliate. Ho ricordi ben precisi di vetrine della nostra Alba che ospitavano chili e chili di tartufi dal profumo esaltante. Ora nelle vetrine dei nostri negozi troviamo un misero piatto contenente una ventina di esemplari presentati come pezzi di orologeria e privi di profumo. Da qui la domanda che mi faccio: tra qualche anno cosa sarà di questa nostra eccellenza? Ben venga allora il monito dell’anziano tartufaio ritratto nel film, ben venga l’invito a conservare e rispettare la natura. I valori della famiglia e delle radici si coniugano con quello del rispetto ambientale. La morale amara è che nel tempo abbiamo dissipato un patrimonio naturale: nel mondo il Tartufo Bianco è Alba, ma purtroppo Alba rischia di non essere più il tartufo".
La seconda scena è l’epilogo triste e straziante per il tartufato vecchio, malato e in bolletta. "La sua casa viene acquisita da proprietari terrieri e abbattuta, farà posto ad altri vigneti. I protagonisti del film si allontanano a piedi. Un’immagine che richiama simbolicamente la perdita dei boschi avvenuta sulle nostre colline".
In ultimo un proposito: "Se tecnicamente possibile, cercherò di acquisire queste due scene, così da poterle trasmettere nel museo intitolato alla memoria di mio padre, perché in linea con la sua pedagogia e il suo credo. Mi pare che questo film dia anche l’occasione per rivalutare in controluce il tema dell’albesità: un valore che alcuni hanno servito e servono, mentre altri se ne sono solamente serviti".