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Attualità | 13 giugno 2025, 22:29

Ilva, preoccupazione anche a Racconigi: “Senza intervento strutturale, la filiera si ferma”

Tra cassa integrazione, scorte in esaurimento e prospettive di vendita incerte, la Fiom Cgil Cuneo lancia l’allarme: “Il governo deve garantire continuità e occupazione”

Ilva, preoccupazione anche a Racconigi: “Senza intervento strutturale, la filiera si ferma”

Il futuro dell’ex Ilva torna sul tavolo di Palazzo Chigi, dove nel pomeriggio del 9 giugno si è tenuto un nuovo incontro tra governo e sindacati. Il confronto arriva in un momento critico, aggravato dalla scarsità della materia prima e dal crescente ricorso alla cassa integrazione, anche negli stabilimenti piemontesi.

In particolare, tra Novi Ligure e Racconigi, secondo i sindacati, resta acciaio sufficiente solo per un altro mese di attività. La situazione, già delicata, si è aggravata dopo l’incendio che un mese fa ha colpito l’altoforno 1 di Taranto, successivamente posto sotto sequestro. Con la produzione dimezzata, l’intera filiera rischia il blocco.

“Ilva non si è mai trovata in una condizione peggiore, nonostante siano anni che vive una crisi strutturale”, denuncia Domenico Calabrese, segretario della Fiom Cgil Cuneo. “Non si può più andare avanti a spot. Serve un piano nazionale per mettere in sicurezza gli impianti e rilanciare la produzione”.

Attualmente, gli addetti in cassa integrazione tra Novi e Racconigi sono circa 200, ben oltre i 150 previsti dall’accordo sindacale. E a Racconigi, in particolare, la tensione è salita dopo l’annuncio improvviso di sospendere il 52% della forza lavoro. “Era una scelta inspiegabile, che abbiamo contestato pubblicamente”, prosegue Calabrese. “La conferma che avevamo ragione è arrivata poco dopo: nel nuovo schema di cassa integrazione il numero massimo autorizzato è stato ridotto a 16 operai produttivi e 2 indiretti. Altro che 45, come avevano provato a praticare”.

La questione, però, non riguarda solo il contingente. Per la Fiom, è il governo a doversi assumere la responsabilità politica della vicenda. “L’amministrazione straordinaria può solo tenere i conti in ordine. Ma la messa in sicurezza degli impianti e il futuro della produzione devono essere gestiti a livello nazionale. Serve un’assicurazione sulla vita per il polo siderurgico più importante d’Europa”, sottolinea Calabrese.

Lo stabilimento di Racconigi, che un tempo contava oltre 500 addetti, oggi ne ha appena 100. “Una cifra che racconta da sola il declino. Eppure anche con un solo altoforno attivo, le maestranze attuali possono lavorare a pieno regime. Le decisioni vanno prese ora”.

Nel frattempo, resta aperto il capitolo della vendita. Dopo le manifestazioni d’interesse dei mesi scorsi, la Baku Steel – la compagnia azera considerata in pole – avrebbe ridotto della metà la propria offerta in seguito all’incendio. Secondo il ministro delle Imprese Adolfo Urso, restano in campo anche altri soggetti, tra cui un gruppo americano e uno indiano. Ma la procedura è competitiva, e tutto è ancora da definire.

“Quando si parla di settori strategici, non ci si può limitare alla trattativa economica”, conclude Calabrese. “Bisogna discutere delle persone, delle loro condizioni e del futuro industriale del Paese. Senza un intervento strutturale, la filiera si ferma e le conseguenze saranno gravi non solo per i lavoratori, ma per l’intero sistema produttivo italiano”.

Daniele Vaira

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