4 e 5 giugno 1994. Due date che all’apparenza possono dire poco, ma che sono state fondamentali per tanti (ex) ragazzi della mia generazione.
Dodici anni ancora da compiere, nei pomeriggi a casa da scuola, seguivo stancamente il Giro d’Italia alternando il tifo per il grande Miguel Indurain a quello per Claudio Chiappucci e Gianni Bugno.
La mia è una passione timida, ma le telecronache di De Zan sono avvincenti anche nelle noiose tappe per velocisti e nei miei pomeriggi di studente delle scuole medie a Priocca, in attesa dell’estate, non è che le alternative siano così esaltanti.
È in questo poco entusiasmante contesto che, tra il 4 e 5 giugno 1994, sulla scena irrompe un ragazzo magrissimo, con pochi capelli. Ha 24 anni, ne dimostra il doppio, ma quando sale in bicicletta sembra un angelo. Quel ciuffo sulla testa si trasforma in ali.
Mai avevo visto un ciclista volteggiare sui pedali come quel ragazzo arrivato dal mare che sapeva volare in salita.
Il suo nome, è anche superfluo dirlo, era Marco, il suo cognome Pantani e quello che stavamo per vivere era un momento di esaltazione collettiva e di amore sfrenato per il ciclismo.
Il 4 giugno, quello che sarebbe poi diventato il Pirata, aveva vinto a Merano, una bella vittoria, ma niente di esaltante, l’impresa di un outsider, costruita soprattutto in discesa.
Il 5 giugno la corsa Rosa si prepara per un tappone Dolomitico con arrivo ad Aprica, dopo aver scalato Stelvio, Mortirolo e Santa Cristina. È in quel 5 giugno che nasce il mito di Marco Pantani che per anni unirà nonni e nipoti, appassionati e non.
Marco, con quel suo ciuffetto di capelli, arriva per primo ad Aprica e per poco non fa saltare il Giro d’Italia che concluderà secondo dietro a Berzin e davanti allo stesso Miguelon Indurain.
È l’impresa che fa nascere il mito che attraverso i trionfi del 1998 di Giro e Tour porterà fino al crollo di Madonna di Campiglio. La fine della verginità per un’intera generazione e il brusco risveglio da un sogno collettivo che ci aveva riportato ai tempi di Coppi, Bartali e Gaul. La mia adolescenza finirà proprio lì a Madonna di Campiglio, nel pianto del nostro Pirata.
Una parabola durata un battito d’ali, ma abbiamo ancora tutti ben stampata nella mente l’immagine della “fucilata” del momento in cui Pantani si alzava sui pedali per diventare uno stambecco in grado di volare sulle pendenze più impervie. Era il momento in cui tutto il mondo si fermava e ancora oggi il ciclismo rimane “quella roba lì” per tutti noi che abbiamo rivisto in Tadej la capacità di volare in montagna.
Come per tanti è nata in questo modo la mia grande passione per il ciclismo, una passione che si perpetua e continua ancora oggi, in intensità minore, ma non con meno attenzione.
Il rapporto del Pirata con la Vuelta sarà sempre difficile. Si cimenterà sulle strade della corsa rossa nel 1995 dopo aver realizzato la straordinaria impresa al Tour di Alpe d’Huez ritirandosi alla diciassettesima tappa e nel 2001 nel post Madonna di Campiglio, quando si fermerà all’undicesima tappa.
Era una Vuelta diversa, nettamente terza nello scacchiere delle grandi corse a tappe, ben dietro l’inarrivabile Tour de France e al nostro Giro d’Italia.
Oggi le cose sono cambiate, sotto la spinta di Aso, l’ente che organizza anche la Grande Boucle la Vuelta ha superato in numeri e appeal la corsa Rosa e punta a ridurre ogni anno il gap con il Tour riuscendo a intercettare un parterre di partenti di livello superiore rispetto al nostro Giro d’Italia.
La partenza dal nostro Piemonte della corsa Rossa rappresenta un grande colpo dell’amministrazione regionale che nella Vuelta ha investito ingenti risorse.
Sicuramente si obietterà che le priorità per una Regione dovrebbero essere altre e sono altre, con la sanità in grado di assorbire quasi i tre quarti di tutte le risorse piemontesi, ma quello fatto dalla giunta di Alberto Cirio è principalmente un investimento più che una spesa.
Le ricadute della Vuelta sono di natura economica e promozionale per il territorio ospitante. L'investimento di 4,5 milioni di euro per ospitare la partenza genererà un ritorno stimato in oltre 40 milioni e un impatto economico netto di 84,5 milioni. Le ricadute comprendono l'aumento del turismo, il miglioramento dell'immagine del territorio come destinazione per il grande ciclismo e l'impatto mediatico nazionale e internazionale.
Alba, le Langhe e il Roero oggi saranno negli occhi e nella mente di decine di milioni di spettatori in ogni angolo del Mondo.
La nostra città e il nostro territorio ricorderanno a lungo questa giornata. Non resta che scendere in piazza e vivere una giornata in Rosso in quello che è e rimane il più grande evento sportivo a ingresso gratuito del mondo. Sognando un nuovo Marco Pantani.
















