La sua è la voce del tempo, della terra e di quelle colline all’ombra delle quali è cresciuto, tra i vigneti e le note. Piero Montanaro è langarolo, prima nell’anima e poi nel DNA. Il cantautore del sound piemontese è un uomo dalla personalità eclettica, che ha sempre saputo quello che vuole. Alla cattedra ha preferito la musica per la quale ha sempre sentito una passione speciale. Le sue canzoni ci portano in un viaggio attraverso le origini e la cultura del nostro territorio.
Il Piemonte ha trovato, attraverso il suo timbro inconfondibile, dignità e poesia. Ma il suo canto non è meramente popolare, è una voce che parla la lingua di un passato mai troppo remoto, rivolto a chiunque abbia l’orecchio aperto e sensibile per ascoltarla. Il suo è un obiettivo che coglie gli interstizi dello spirito, le profondità del cuore. A lui si deve il fatto di aver permesso al ricamo dialettale di superare i confini geografici e farsi ammirare persino alla “fine del mondo”, anche da papa Francesco.
È quello che ci ha detto il simpatico mattatore delle nostre serate estive nelle piazze che, dopo oltre cinquant’anni di applausi, sorrisi e canzoni, ha la faccia di un eterno ragazzo. Ironico, sorridente come sempre, l’intramontabile cantante originario di Coazzolo, ci ha incontrato ad Asti, patria d’adozione insieme a Telecupole. Un rapporto che ha il suo perché: è lì che, insieme a tanti altri volti noti dell’emittente, si esibisce ogni martedì sera nel corso della trasmissione “Ballando Le Cupole”.
Ma non è solo un cantante Piero Montanaro. C’è di più: è un gentiluomo, uno che ti apre la porta dei tesori della città del Palio e ti spiega la storia, le architetture, gli aneddoti. Un cavaliere d’antan, di un’umiltà rara, sincera e doti da attore, che in questa chiacchierata, sublimata dal brindisi, si apre, prendendosi i suoi rischi.
- Come si sente, Piero, oggi a settantadue anni?
“Come una persona che ha settantadue anni, ma che dentro se ne sente venti. L’età anagrafica non corrisponde a quella mentale”.
- Non sei stanco di fare il cantante?
“No, non sono stanco di cantare, sono stanco di tutto il contorno. Cantare è un piacere, è come fare l’amore, tant’è che io canto con gli occhi chiusi. Se canto con gli occhi aperti è perché sto cantando una cavolata e, quindi, non ho bisogno di concentrazione. È ciò che c’è prima e ciò che c’è dopo che mi diventa pesante, ma cantare, anche se è uno sforzo fisico, è sempre un piacere”.
- Com’è nata la tua passione per la musica?
“È una passione che nasce da lontano, poiché già mio papà cantava alla buona con gli amici. Io ne ho poi fatto la mia professione. Inizialmente, nel periodo dell’Università, cantando mi sono mantenuto gli studi. Successivamente, ho iniziato a scrivere le canzoni, intraprendendo l’attività di autore e cantautore, vivendo momenti belli ed altri meno belli”.
- Che ricordi hai della tua infanzia a contatto con la musica?
“Ho dei ricordi che partono dall’oratorio, dove c’era un parroco che amava la musica e suonava la fisarmonica, la chitarra, il mandolino e ci faceva cantare. Il mio primo complesso lo mise in piedi il curato di San Bartolomeo a Castagnole delle Lanze, attuale parroco a Diano d’Alba. È partito tutto dall’oratorio che è stato un modo per fare gavetta, il punto di arrivo erano le sale da ballo e ricordo che il primo capodanno pagato fu il 1965/66 al Belvedere. Dopo il diploma, ho lavorato ad Alba e le prime esperienze musicali con il gruppo ci condussero pure in un locale che si trovava tra Bandito e Sanfrè. Nel 1968 ho fatto il passo importante, andando a cantare con la band che aveva accompagnato Paolo Conte alla Coppa del Jazz. Il tastierista era Secondo Gallizio, un roerino di San Rocco di Montaldo Roero, autore, tra l’altro, della musica di alcune canzoni popolarissime, come Madonnina dai riccioli d’oro. Ha suonato con me per tre anni, abbiamo scritto insieme delle canzoni, siamo molto amici e ci sentiamo spesso, lui è più vecchio di me (ride, ndr)”.
- I tuoi genitori come ti hanno supportato nel tuo cammino musicale?
“Erano altri tempi e la mia era una famiglia molto modesta. Mi hanno sostenuto, condividendo la mia passione, per quanto potevano. Tutto è venuto da solo e so che cosa vuol dire la fatica. Gli unici libri che c’erano a casa mia erano quelli delle scuole elementari ed il primo testo che ho letto, che non veniva dalla biblioteca scolastica, fu Le avventure di Robinson Crusoe. Avevo undici anni e lo lessi due volte, forte della passione per la lettura che avevo mutuato da mia mamma. Effettivamente, la situazione era comune a tantissime altre persone che abitavano in una piccola località di campagna qual è Coazzolo, un paese di trecento anime che ben poco ha da offrire”.
- Che cos’è per te la musica?
“Una volta avrei detto: la vita. Adesso è una compagna, una bella compagna che mi dà piacevoli soddisfazioni, come in questo momento. Se non ci fosse la musica non sarei qui con te a parlare. Quindi, la musica dà questi piccoli piaceri che l’età comincia a farti capire. Penso che per poter godere la vita, bisogna sapersi accontentare. Se rincorri affannosamente il successo, finisce che la vita diventa una corsa e non hai tempo a godere di quello che le sta intorno”.
- Che cosa vuoi comunicare a chi ascolta le tue canzoni?
“Dipende dalla canzone. Sicuramente condividere le emozioni, i sentimenti che mi hanno portato a scrivere una determinata canzone. Le canzoni aprono dei mondi, delle situazioni. L’album più bello che ho fatto è quello che ha avuto meno successo. Si intitola PIEro MONTanaro, Canté mia Tèra, è un CD dove il piemontese è usato come lingua e con il quale si possono esprimere tutti i più grandi sentimenti”.
- Le canzoni che raccontano meglio chi sei?
“Tra le canzoni che ho scritto posso citare Ij vei del me pais e Sta vita ch’a sfianca, dove c’è molto di me a livello di sentimenti”.
- Che cosa ami e che cosa detesti del tuo lavoro?
“Quando comunichi delle emozioni e, a fine serata, arriva qualcuno, ti ringrazia o ti dice che le tue canzoni sono diverse dalle solite, perché c’è poesia, è una cosa gratificante. Per me, ogni serata, ogni nuova canzone, è un esame. Non amo tutto il resto, quello che sta attorno alla musica in cui l’arte c’entra ormai ben poco, è meno riconosciuta, mentre conta sempre di più il mercato”.
- Ci sono stati momenti in cui hai pensato che non ce l’avresti fatta?
“In continuazione. Il successo non è misurabile, è un esame continuo. Non stacchi mai, pur imponendoti di vivere la vita. Se vuoi fare questo lavoro sei sempre in gioco e lotti, se vuoi lottare. Io ho smesso di lottare, gioco”.
- Hai cantato anche in Argentina. Come viene percepita all’estero la tua musica?
“Le maggiori soddisfazioni le ho avute all’estero, soprattutto in Argentina. Laggiù ho addirittura due cittadinanze onorarie e, al monumento dell’emigrante piemontese, ho lasciato l’impronta della mia mano. Ci sono circa un centinaio di associazioni piemontesi, quasi tutte con un coro o un gruppo teatrale e cantano le mie canzoni. Mi è successo molte volte di cantare là in teatri con il coro locale. Nella prima tournée che ho fatto a Brinkmann, una città argentina gemellata con Giaveno, ho perfino registrato un CD con il coro del posto che aveva ben dieci delle mie canzoni in repertorio. Sono momenti indimenticabili, ho dei ricordi bellissimi e degli aneddoti che non finiscono mai”.
- C’è un brano della tradizione piemontese che a parer tuo rappresenta nel modo migliore il Piemonte in Italia e all’estero?
“Quando sono in tournée e canto per i piemontesi sparsi nel mondo la canzone inno è Piemontesina. Tutti la cantano”.
- Il patrimonio culturale musicale della nostra Regione è abbastanza valorizzato o bisognerebbe fare di più?
“Ahimè, non possiamo competere con i napoletani. La canzone piemontese, abitualmente, come anche la lingua, viene usata, artisticamente parlando, per le farse, le canzoni goliardiche, ma poco per esprimere sentimenti profondi, come l’amore o altri temi. Possediamo tante belle canzoni, riscoperte grazie anche all’impegno di ricercatori, ma poco popolari. Bisognerebbe fare molto di più”.
- Una delle canzoni a cui ti senti particolarmente legato?
“La mia canzone più fortunata è “Amici miei”. Questo brano è un collante particolare di emozioni, di situazioni. È anche il nuovo inno degli Alpini. Su questo motivo musicale potrei raccontarti decine di aneddoti, perché unisce nei momenti di gioia, ma anche nei momenti tristi”.
- Di che cosa parla il tuo ultimo album?
“Il mio ultimo album si intitola “Il mio concerto per Papa Francesco - Vengo dalla fine del mondo”, dove ho cercato di raccontare la terra dei suoi avi, attraverso le mie canzoni. Dal momento che la nonna di Bergoglio proveniva dalle parti di Cortemilia, ho raccontato le Langhe e l’astigiano”.
- C’è un momento della tua carriera di cui sei particolarmente orgoglioso?
“Il momento più bello è stato l’incontro con papa Francesco. Quando è arrivato da me l’ho salutato, gli ho fatto vedere il CD che gli ho dedicato e lui mi ha detto che lo conosceva. Ed è proprio vero che, quando sa che il suo interlocutore è piemontese, si congeda dicendo “Cerea”. È contentissimo quando incontra una persona che proviene dalla sua terra, si illumina. Mi sono sentito piacevolmente una nullità (ride, ndr)”.
- La gente che ti riconosce per strada che cosa ti dice?
“Per prima cosa mi rivolgono i loro apprezzamenti per il mio lavoro in televisione. La gente sente l’affetto che metto nelle cose che faccio. Per me non si tratta più di lavoro, ma di una grande passione che mi porta molte soddisfazioni. Poi, magari, mi fanno i complimenti per le canzoni e approfondiamo il discorso”.
- Se non avessi fatto il cantante, che cosa avresti fatto nella vita?
“Ho insegnato per ventun anni, poi ho smesso per svolgere questo lavoro, rinunciando alla carriera universitaria”.
- La tua qualità più spiccata?
“Non saprei, forse il fatto di sapermi rapportare con le persone e stabilire con loro anche un’empatia”.
- Quali sono i tuoi interessi oltre la musica?
“La bicicletta, la lettura ed i viaggi”.
- Sei social?
“Li uso semplicemente come mezzi per comunicare con le persone che mi seguono”.
- A chi devi dire grazie?
“All’amico Enzo Ceppani, il discografico che ha prodotto il mio primo 45 giri. Agli esordi mi ha dato una bella mano. Comunque, in tutte le cose che ho ottenuto, ci ho sempre messo molto di mio, faticando. Raggiungere risultati come la vittoria al Canta Piemonte del 1983, è il risultato del lavoro, ti fa sentire come aver superato bene un esame, perché hai studiato”.
- A cosa non rinunceresti mai?
“Volando alto, la libertà è il valore più importante che esiste e da essa discendono tutte le cose. È uno dei valori che ho cercato di trasmettere a mio figlio. Indubbiamente, anche la famiglia è un grande valore: ho la fortuna di avere una mamma di novantatré anni e mezzo e di essere nonno”.
- Sul palco ti accompagni spesso a fascinose personalità femminili. Che cosa apprezzi di più in una donna?
“Gli occhi, per me, sono la parte più sensuale, perché con essi la persona comunica le sue emozioni e sensazioni. Poi viene tutto il resto”.
- La tua vacanza ideale?
“Sono innamorato dei Caraibi, in inverno andrei lì, mentre in estate mi porterei al Sud o tranquillamente in Sardegna, che non ha nulla da invidiare ai lidi caraibici, anzi!”.
- Il sogno di Piero bambino.
“Da giovane ho sognato tutto questo ed in parte si è realizzato”.
- Il sogno di Piero grande.
“Non ho più sogni nel cassetto. Ho settantuno anni, forse cambiano i valori. La famiglia e la salute sono le cose più importanti, poi tutto il resto va in secondo piano. Vivo benissimo slow, accontentandomi delle tantissime, piccole gioie che la vita mi offre”.
- Che cosa dobbiamo aspettarci ancora?
“Ho fatto una cosa per il piacere di farla. Ho preso una cantoria, una di quelle che cantano nelle piole e abbiamo registrato un CD insieme, cantando le mie canzoni… da piola. Devo dire che sta piacendo tantissimo. Con questo gruppo, chiamato I Castellani, cantiamo a cappella, senza accompagnamento musicale, un’esperienza divertente”.
- Ai giovani che si affacciano al mondo della musica che cosa vorresti dire?
“Studiate tanto. Rispetto a quando ho iniziato io, ora c’è più possibilità di studiare musica e uno strumento. Naturalmente ci devono essere delle doti naturali, ma la preparazione è fondamentale”.
- Se dovessi attribuire una colonna sonora a questa intervista, quali canzoni sceglieresti?
“Potrei usare due canzoni: Amici miei e Ritrovarsi”. Un omaggio alla sua straordinaria carriera ed alle donne.