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Attualità | 16 novembre 2020, 11:30

Maura Anfossi del Trauma Center dell'ospedale di Cuneo: "Siamo passati dalla resilienza alla resistenza, dalla solidarietà alla rabbia"

Responsabile anche del Servizio di psicologia ospedaliera, alla guida di un'equipe di 10 psicologi, spiega le differenze tra la prima e la seconda ondata di pandemia. "Ogni evento stressante genera reazioni estreme, che ci fanno perdere la capacità di leggere il mondo in maniera realistica"

Il murale dedicato agli operatori sanitari, deturpato

Il murale dedicato agli operatori sanitari, deturpato

Se c'è un segno evidente di come sia cambiata, dalla prima alla seconda ondata della pandemia da Coronavirus, la risposta della società civile, sta in quei murales dedicati a medici e infermieri vergognosamente imbrattati, a Milano, lo scorso 3 novembre.

"Lo stress della situazione che stiamo rivivendo porta a modalità di pensieri estremi - spiega Maura Anfossi, responsabile del Servizio di psicologia ospedaliera e del Trauma center dell'Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo. Nella prima ondata c'è stata un'idealizzazione degli operatori sanitari, visti come eroi. L'evento stressante ha fatto tirare fuori le risorse, c'era una grande solidarietà e un sentire comune. Poi l'evento si è ripresentato ed è diventato quello che noi chiamiamo "distress", uno stress non più gestibile. Una frustrazione prolungata, che genera rabbia. Chi è stato idealizzato adesso viene svalutato. Sono entrambe due reazioni estreme, che ci allontanano da una lettura realistica. I sanitari non sono né eroi né demoni. Sono persone che lavorano facendo il loro dovere con tutti i mezzi a disposizione".

Maura Anfossi è alla guida di un'equipe di 10 piscologi. Il loro ruolo è interno, sono a servizio del personale ospedaliero. Sei di loro hanno invece costituito il Trauma Center, attivato nuovamente nelle scorse settimane per dare risposta al disagio e alle paure dei cittadini.

Dal 20 marzo al 31 maggio scorso hanno avuto circa 90 incontri in piccoli gruppi con il personale sanitario sottoposto allo stress del Covid. "Abbiamo incontrato circa 300 operatori. Quello che emergeva era una grandissima sofferenza nel vedere tanti pazienti soffrire e morire da soli. Ricordo il caso di un'infermiera che aveva cantato "Vecchio Scarpone" tutta la notte, a distanza, ad un anziano che stava morendo. Dall'altro lato, però, c'è stata anche una rivitalizzazione del ruolo, nutrito dalla gratitudine e dalla solidarietà della società".

Cosa è cambiato? "Il personale adesso fa molta più fatica. Ci sono reazioni di rabbia e di stanchezza, anche diversi episodi di depressione importante, figlia di grande sofferenza interiore. C'è la sofferenza mentre non si vedono più quella grande solidarietà e riconoscenza che, nella prima fase, avevano dato tanta forza al personale. Gli aspetti positivi della prima ondata non ci sono più, c'è un grande smarrimento generale".

Sono molto diverse anche le telefonate che ricevono durante il servizio di Trauma Center - continua la dottoressa Anfossi. "A marzo e aprile le persone chiedevano le cose più svariate, ci raccontavano tante cose. Adesso la maggior parte delle chiamate è da parte di persone che soffrono. C'è molto dolore, molta fatica, solitudine e paura. Abbiamo parlato con delle madri che hanno figli con disturbi psichiatrici importanti, non ce la fanno davvero più a gestire la situazione".

Cosa aspettarsi per il prossimo futuro? "Siamo passati dalla resilienza alla resistenza. Che è molto più faticosa. Bisogna andare avanti, punto e basta. Dall'adattamento ad una situazione ci siamo tutti trovati ad arroccarci, a chiuderci, in un pessimismo generale. Ecco, si potrebbe concludere con una citazione di Murakami, lo scrittore giapponese ultramaratoneta. Perché questo stiamo affrontando, un'ultramaratona. Siamo in una tempesta di sabbia. Dobbiamo entrarci dentro e superarla chiudendo forte gli occhi, per non far entrare dentro la sabbia. Non è facile. Ma bisogna andare avanti. Questa è la grande sfida della seconda ondata. Resistere!"

Barbara Simonelli

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