Gran parte degli osservatori pensavano che, all’indomani della batosta subìta nella recente tornata elettorale, sia alle europee che alle regionali in Piemonte, nella Lega succedesse qualche terremoto. E invece nulla. Il partito che da federalista si è trasformato in ultranazionalista resta saldamente nelle mani del Capitano Matteo Salvini che porterà i propri (pochi) rappresentanti a sedere nel parlamento europeo sui banchi dell’estrema destra.
E pensare che non più tardi di un paio di mesi fa, quando ancora pensava di far ritorno a Strasburgo, l’eurodeputata cuneese Gianna Gancia tuonava: “Per 5 anni abbiamo dovuto subire l'umiliazione di stare con gli eredi non rinnegati del nazismo. Nel Consiglio federale della Lega non si decide più nulla. Salvini fa tutto di testa sua. Abbiamo rinnegato il messaggio del federalismo, della libertà, della difesa dell'impresa, del sindacato del territorio. E nel frattempo non abbiamo capito dove stavamo andando”. E dalle colonne del quotidiano torinese, sferrava pure un attacco ai colleghi di partito accusandoli di cortigianeria: “Abbiamo una classe dirigente che, a parte qualche eccezione, non si è mai spesa per affermare la propria dignità”.
Per Gancia l’avventura europea è finita il 10 giugno quando ha dovuto prendere atto che le 19.183 preferenze del 2019 erano crollate a 8.353. E anche in provincia di Cuneo, da sempre sua roccaforte elettorale, i suoi consensi erano passati da 7.359 di cinque anni fa agli attuali 3.691.
Ha dovuto prendere atto che pure nella Granda il popolo leghista stava andando… all’incontrario. La sua terra le aveva voltato le spalle preferendole il generale Roberto Vannacci, che – in termini di preferenze (6709) – l’aveva doppiata anche in casa sua.
Le resta la consolazione, alla vigilia di un voto francese che vedrà Salvini gioire per il successo del Rassemblement National di Marine Le Pen, di poter godere di uno strapuntino in Regione, dove – grazie ai buoni uffici del marito, il ministro per le Autonomia e le Regioni Roberto Calderoli – era stata piazzata al quinto posto nel listino del presidente Cirio. Un esilio dorato, ma pur sempre di un tramonto si tratta.
La Lega federalista, che lei ha vagheggiato in solitudine sino all’ultimo, resterà a un sogno di gioventù. Oggi in via Bellerio a Milano - e forse anche in Piazzale Libertà a Cuneo - in pochi sanno ancora chi sia Gianfranco Miglio.