Inaugurerà domenica 12 ottobre, alle 9.30, nella Confraternita del Battuti Bianchi, la retrospettiva antologica sull’opera di Francesco Russo “Buròt”, organizzata dal Comune Comune di Carrù, con la onlus monregalese “col. Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo” e gli “Amici di Carrù”.
Il critico d’arte e poeta Remigio Bertolino ricorda che: “L’iter artistico di Francesco Russo Buròt (1945-2022) è una continua, infaticabile ricerca per cercare di raggiungere l’essenza dell’arte. Negli anni giovanili frequenta lo studio del maestro valdostano Italo Mus. In seguito quello di Eso Peluzzi, a Monchiero, e più frequentemente quello del maestro francese Max Dissar a Verduno. Tre maestri che lasciano il segno nel suo operare, nel suo accostarsi al paesaggio o alla figura. Francesco Russo Buròt ha sperimentato vari materiali, varie forme con cui esprimere le sue sensazioni, i suoi sentimenti, il suo mondo interiore. Nel pittore monregalese vari “stili” si avvicendano in una sorta di continuo fiorire e rifiorire: dal realismo impegnato degli anni Settanta, alla quasi astrazione del ciclo delle forme primordiali degli anni Novanta, da un figurativo moderno e lirico ad un mondo all’insegna del surreale. In ogni fase del suo operare, il pittore monregalese sprofonda totalmente nel soggetto, ne è come posseduto, tende a sviscerarlo in ogni dettaglio fino al completo esaurimento del tema. Insomma, vi è in lui una assidua ricerca sull’immagine sia mimetica sia creata dalla fantasia e dalla immaginazione. Alla fine degli anni Sessanta inizia a partecipare a mostre e a concorsi con ampie vedute di Langa sospese in luci di magica poesia. Il decennio del 1970 è un periodo di fervore creativo: Francesco Russo Buròt dà una svolta alla sua pittura «en plein air» fatta di vibranti impressioni luminose per scendere nel solco della pittura «impegnata», di stampo neorealista. È il periodo di Baracco, nell’alta Valle Ellero, della Pra in Valle Corsaglia, borghi rimasti intatti e isolati, lassù nello splendore dell’alpe. L’artista adibisce una spoglia rimessa ad atelier di arte e vive a contatto con gli ultimi rappresentanti di un microcosmo in via di estinzione. A Baracco, conosce Cin, il montanaro che incarna il prototipo del saggio, fautore di un’aurorale e francescana vita a contatto con la natura, nell’amore per ogni forma vivente. Il vecchio diventa il suo guru, conduce l’artista alla scoperta di un universo sommerso e occulto. Come Cézanne e Degas, egli si serve della fotografia per catturare le sensazioni visive che scaturiscono dal vivere in quell’isola sospesa fuori del tempo. Spesso utilizza i particolari tagli o gli intensi primi piani sia negli oli, sia nelle xilografie. Alla Pra di Roburent incontra il “Profeta” (Giacomo) e Lucia; conosce la triste conclusione della storia d’amore del contadino-pastore. Ritrae i fratelli in vari momenti, cogliendone magiche suggestioni, atteggiamenti che sanno quasi di ricerca ascetica. Intanto, procede anche sul piano della scultura con quelle forme lignee o scolpite su pietra di grande impatto: gruppi familiari, maternità, o singoli personaggi stilizzati, dalle forme allungate, spesso cave, che riecheggiano Henry Moore. Gli anni Novanta sono contrassegnati da una svolta all’insegna dell’astrazione. Burot raffigura universi arcani con forme aperte a ventaglio che spesso ricordano microcosmi raggianti in spazi misteriosi. Questa ricerca prosegue nel nuovo Millennio con i vecchi libri, gli elenchi telefonici, le riviste che diventano «altro», trasformati in forme astratte. In scultura è il periodo dei galli dalle forme geometrizzanti e dai magici accesi colori. L’animale, che ha una lunga tradizione tematica nella ceramica monregalese, è scolpito su legno di salice di montagna, materia povera, ma in grado di rispondere pienamente alle esigenze dello scultore. «Il bosco delle fiabe» è l’ultimo ciclo di sculture di Buròt. Dopo le opere sui “galli”, l’artista ha intrapreso un tema nuovo, incentrato sulla fiaba e sulla fantasia. Questa sequenza di sculture, di piccolo formato, nasce da una appassionata immersione nella natura. Burot va alla ricerca dell’anima delle nostre selve, dei nostri boschi. Attraverso la suggestione di favole e miti crea un universo di magiche creature (ninfe, elfi, gnomi, “servan”, “masche”...). Il bosco è il luogo misterioso per eccellenza, in cui sono ambientate molte fiabe, luogo dove tutto può succedere, dove il male può presentarsi sotto varie forme... Dalle sue escursioni solitarie, lo scultore recupera pezzi di rami, scaglie di tronchi, cortecce, filamenti, bacche. Poi, nel silenzio dello studio, trae dal “materiale povero” con estro creativo, forme, figure legate, in qualche modo, con il mito, con il folclore, con l’inconscio... Nel nero periodo del confinamento a causa della pandemia (2020-21), il pittore non è rimasto inerte, ma ha cercato di vedere oltre la desolazione che si stendeva al di là della finestra dello studio. Si è immerso in un microcosmo di sensazioni cromatiche, di immagini rutilanti, fantasmagoriche. Come Alice nel paese delle meraviglie ha spalancato la porta di mondi paralleli. Ha cercato di evadere dal carcere della solitudine e dell’isolamento attraverso il gioco dell’invenzione continua e spiazzante. Sono scaturite immagini dai colori rutilanti, stesi sul foglio con i pennarelli in un rimescolamento di stili, di citazioni, di rielaborazioni".
Sarà visitabile giovedì dalle ore 9:30 alle 11:30; il sabato 16 alle 18:30 e domenica dalle 10 alle 12.





















